Il gioco del panino
Adelphi, 132 pp., 15 euro
Il titolo originale è Talking Heads e si intuisce bene perchè. Nessun legame con la band statunitense (o se c’è, è impercettibile): é un’espressione inglese che indica gente logorroica, che straparla. Le “teste parlanti”, letteralmente, sono sei personaggi afflitti, cinici o rassegnati, intenti a raccontarsi attraverso piccoli episodi di vita quotidiana, appoggiati a un termosifone, accasciati sotto a una finestra o seduti di sbieco su una vecchia poltrona di pelle. I dodici monologhi, pubblicati in Italia in due volumi (questo e Signore e signori, Adelphi, 2004), sono stati pensati e scritti per la tv e poi trasmessi dalla BBC negli anni ’90, eppure mantengono un alone letterario di cui un drammaturgo come Alan Bennett difficilmente può disfarsi. Celia, Marjorie, Miss Fozzard, Wilfred, Rosemary e Violet sono teste parlanti anche, e sopratutto, perchè non hanno braccia, nè gambe (metaforicamente, si capisce): hanno solo la testa, e i pensieri cupi che partorisce, ma nessuna volontà o capacità di agire o d’imporsi, di cambiare o di capire anche semplicemente come funziona la vita. Sono sei disadattati che non riescono a integrarsi. Hanno le loro manie, le loro piccole ossessioni che impediscono loro di conformarsi: chi il giardinaggio, chi la pulizia della casa, chi l’antiquariato. Nessuno le nasconde, perchè è l’unico modo che hanno per misurare la vita: a spanne, come si misura la distanza da un corpo estraneo e lontano, di cui non si conoscono bene nè la forma nè il carattere. Alan Bennett ha molto del nostrano Pirandello, con tutte le dovute differenze di storia, di geografia e di stile: quel voler rappresentare il ridicolo del quotidiano li accomuna, il siciliano e lo snob di Leeds. Non a caso leggendo “Il gioco del panino” salta alle mente la novella pirandelliana de “La carriola”, in cui un borghesissimo avvocato una volta al giorno si chiude nel suo studio, afferra le zampe posteriori della sua cagnetta e le fa fare la carriola: otto, dieci passi attorno alla stanza. La sua inadeguatezza è segregata in quel gesto, il resto è ipocrisia, fingersi “adatti” e conformarsi. Altri tempi, altre attitudini, oggi no: è lecito sentirsi inadeguati, e i personaggi di Alan Bennett se la prendono tutta questa libertà. Misurano il valore di ogni pezzo di mobilio, ignorano gli atti omicidi del marito ma non la zozzura dei suoi vestiti, curano il giardino di una vicina incarcerata e dimenticano le parole, quando gli fa comodo. Con la sua aristocratica comicità il raffinato Bennett concorda con Dadina de La grande bellezza: “Nessuno è adatto a un cazzo”. L’importante è saperlo, e porvi rimedio, ma senza dare nell’occhio.
IL GIOCO DEL PANINO
Alan Bennett
Adelphi, 132 pp., 15 euro