ISIS
Rizzoli, 270 pp., 18 euro
Dopo gli attentati di Bruxelles, è urgente capire perché lo Stato Islamico sembri avanzare indisturbato in un medio oriente martoriato. Per potersi orientare meglio, “Isis”, ultima opera di Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo studio del terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata, è una lettura da intraprendere. Il libro si fonda su un’idea chiara: le milizie islamiste sono nient’altro che il “nulla che avanza nel niente”. Il primo capitolo ci dice quale sia il campo di battaglia e quali sono tutte le nostre debolezze che fanno apparire lo Stato islamico così indistruttibile. Il campo di battaglia è la Siria, e il suo futuro influenza la strategia occidentale. A causa di divergenze strategiche tra gli Stati Uniti – che vorrebbero Assad deposto – e la Russia – in fase di ritiro ma che ha mantenuto in sela il rais di Damasco – l’Isis non ha subìto grandi perdite, nonostante gli 8.912 raid aerei della coalizione a guida americana tra il settembre 2014 e il 16 dicembre 2015, mantenendo più o meno tutti i suoi territori. Nel secondo capitolo, Orsini ci accompagna in un viaggio nella mente dei terroristi, aiutandoci a comprende quando e dove i jihadisti ci colpiranno. Le tesi avanzate meritano d’essere sottolineate: lo Stato islamico colpisce coloro che li attaccano e lo fanno quando stentano nel porre le basi per l’edificazione di una struttura sociale o in medio oriente o – nel caso di al Shabaab – in Somalia. Il 2 aprile 2015 i miliziani di al Shabaab colpirono l’Università di Garissa provocando 149 morti: al Shabaab in quel periodo aveva perso roccaforti importanti in Somalia a causa dei bombardamenti kenyoti. Questo attentato conferma, in sostanza, le due precedenti tesi. Il terzo capitolo ci parla del pilastro dell’educazione jihadista: la mentalità a codice binario, ovvero il “ridurre la complessità del reale in due sole categorie, il bene e il male”. Il quarto capitolo è un viaggio nelle vite di dei jihadisti, molte volte ragazzi e ragazze del tutto comuni, nel loro percorso di marginalità sociale, disintegrazione dell’identità sociale e ricostruzione attraverso l’ideologia jihadista, che offre loro una nuova vita al prezzo di toglierla. Gli attentatori della metropolitana di Londra e di Charlie Hebdo avevano lo stesso background: giovani socialmente disintegrati, non sempre a causa della povertà – come ci fa credere una certa retorica – che trovano la salvezza nella morte jihadista. Punto fondamentale per Orsini è che la marginalità sociale è democratica: può colpire ricchi e poveri, sfatando così il mito che sia la povertà la causa principale delle azioni terroristiche. L’autore, nel descrivere le tappe che portano i terroristi alla morte jihadista, attinge alla realtà e percorre la vita di moltissimi di loro, come ad esempio Chérif e Said Kouachi, autori della strage a Charlie Hebdo. Alla fine, lo spazio è per le considerazioni riassuntive: sarebbe ideologico pensare che uomini come i fratelli Kouachi si radicalizzino solo per colpa delle “periferie degradate”: interventi nelle situazioni più disagiate fanno bene, ma bisogna interrogarsi prima sul rapporto che c’è tra Islam e violenza, nota Orsini. E per capirlo bisogna tornare direttamente a Maometto: dopo l’assedio che pose alla comunità ebraica Banu Qurayza, egli decise che tutti i 600 ebrei lì presenti dovessero essere decapitati, e così accadde. Da questo episodio drammatico, il direttore del Centro per lo studio del terrorismo dell’Università Tor Vergata fa discendere una conseguenza fondamentale: le comunità musulmane dei paesi liberaldemocratici sono chiamate a fare uno sforzo costante nel condannare la violenza, perché senza argini di questo tipo, la macchia di sangue che già si è sparsa nel cuore dell’Europa, dilagherà.
ISIS
Alessandro Orsini
Rizzoli, 270 pp., 18 euro