I dadi di Einstein e il gatto di Schrödinger
Raffaello Cortina, 328 pp., 27 euro
Einstein, com’è noto, non ci credeva. “Dio non gioca a dadi”, una delle sue espressioni favorite, è diventata proverbiale: per tutta la vita, il padre della relatività non volle credere che la meccanica quantistica mettesse per davvero in soffitta il principio di causalità – si perdoni il bisticcio di parole, ma qui è inevitabile – a favore di quello di casualità. Che cosa credesse Erwin Schrödinger è meno noto. Non solo perché Einstein è diventato il prototipo dello scienziato geniale, personaggio-immagine della fisica contemporanea, ricercato, intervistato, indagato in ogni risvolto del suo pensiero, mentre l’altro è rimasto sempre, nell’immagine pubblica, in secondo piano; ma anche – e forse soprattutto – perché lo stesso Schrödinger non sapeva bene che cosa credere. Nell’immaginario collettivo, il nome di quest’ultimo è rimasto indissolubilmente legato all’esperimento mentale passato alla storia con l’appellativo appunto de “il gatto di Schrödinger”: un felino rinchiuso in una scatola con una fiala di veleno, la cui rottura, con conseguente morte del povero micio, dipende dall’emissione o meno di una particella di una sostanza radioattiva. Visto che nel tempo dato la particella ha una probabilità del 50 per cento di venire emessa, “il gatto sarebbe come uno zombi in sovrapposizione quantistica di morte e vita finché il cronometro si spegne, il ricercatore apre la scatola e lo stato quantistico del gatto ‘collassa’ (si condensa) in una delle due possibilità”. Il fatto è – osserva Paul Halpern, docente di Fisica a Filadelfia e divulgatore scientifico di successo – che il celebre esperimento sembra riflettere in qualche modo la personalità stessa del suo autore: si proclamava ateo e sosteneva le sue convinzioni con argomentazioni di tipo religioso; visse a lungo contemporaneamente con la moglie e con un’altra donna dalla quale aveva avuto una figlia; nel 1933 fu il primo scienziato non ebreo a lasciare la Germania e nel 1938 giurò fedeltà al nuovo regime che aveva occupato la sua Austria; e così via. E anche dal punto di vista scientifico le sue opinioni furono tutt’altro che costanti, oscillando ripetutamente tra l’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica sostenuta dalla scuola di Copenaghen e la critica deterministica che le opponeva Einstein. Costruito intorno al rapporto fra i due giganti della fisica, il libro di Halpern contiene molto altro (compreso un interessante resoconto della fortuna del “gatto di Schrödinger” nella cultura successiva), risultando un accattivante e accessibile racconto delle avventure della scienza del Novecento.
I DADI DI EINSTEIN E IL GATTO DI SCHRÖDINGER
Paul Halpern
Raffaello Cortina, 328 pp., 27 euro