Da fuori
Nulla è più attuale di una filosofia per l’Europa”, avverte Roberto Esposito, docente di Filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore, che accompagna questa affermazione con una grande certezza: la soluzione ai problemi di identità culturale del continente verrà necessariamente “da fuori”. Infatti “è sempre da fuori che viene il pensiero, quando si tratta di mettere in questione una visione delle cose non più rappresentativa degli eventi in corso”. Del resto, altrettanto da fuori vengono le principali minacce che sembrano minare alla base la convivenza europea, dalla recessione economica ai flussi migratori incontrollati, al terrorismo islamista. A fronte di queste sfide, l’Europa si presenta priva, oltre che di un corpo riconoscibile, anche dell’anima, divisa in Stati nazionali “che di sovrano paiono avere ormai conservato solo il debito”.
Già alla fine della Prima guerra mondiale, spiega Esposito, l’Europa aveva perso la sua centralità e appariva in crisi profondissima. Nel ventennio 1919-’39, la filosofia aveva creduto di rispondere con un grande ritorno alle origini. Principalmente Husserl e Heidegger, insieme ad altri, erano stati i fautori di questo fallito tentativo di restaurazione, imperniato su un “gretto nazionalismo”. La Seconda guerra mondiale aveva provocato tuttavia un particolare fenomeno: la temporanea emigrazione in America di una componente importante della filosofia tedesca.
Esposito divide la seconda metà del Novecento in tre correnti di pensiero, corrispondenti ai tre capitoli centrali del libro, denominate German Philosophy, French Theory e Italian Thought.
La prima ha per protagonisti filosofi quali Marcuse, Horkheimer e Adorno, emigrati negli Usa per sfuggire alle persecuzioni e poi fondatori della celeberrima Scuola di Francoforte. Costoro vengono polemicamente scalzati dal “decostruzionismo” dei teorici francesi (i vari Foucault, Derrida, Deleuze, Baudrillard, Lyotard) accolti come star nelle università americane, grazie alla popolarità acquisita in patria. Infine si afferma il pensiero italiano, che prende le mosse dall’operaismo di Mario Tronti e che poi si allarga a Giorgio Agamben, Toni Negri, Massimo Cacciari e allo stesso Esposito.
L’autore cita i propri precedenti lavori, incentrati sui concetti di “communitas” e di immunitas”. “Nel momento in cui il dispositivo immunitario si generalizza come la sindrome del nostro tempo, il comune diventa la forma, reale e simbolica, di resistenza all’eccesso di immunizzazione che ci cattura senza sosta. Se l’immunità tende a racchiudere la vita in recinti protettivi, la comunità è la breccia che, sfondando tali linee di confine, la libera dall’ossessione securitaria”. Di qui la dichiarata simpatia dell’autore “per quel concetto di “bene comune’, stretto fra quelli di ‘bene privato’e di ‘bene pubblico’ – da qualche tempo all’attenzione di filosofi, antropologi, giuristi, soprattutto italiani”.
“Da fuori” è un libro sicuramente interessante da un punto di vista storico-filosofico – un ampio excursus nelle correnti della seconda metà del Novecento – ma meno convincente sotto il profilo strettamente teoretico. Lo scontro mortale, ideologico e politico, fra comunismo e democrazia, che pure ha caratterizzato tanta parte del secolo scorso, sembra non avere appassionato Esposito, che trascura completamente l’argomento, al pari del pensiero liberale occidentale, al quale si dimostra di fatto estraneo. Il quinto e ultimo capitolo, dedicato all’Europa odierna, è una presa d’atto che fotografa il presente, con analisi e prospettive piuttosto vaghe e generiche.
DA FUORI
Roberto Esposito
Einaudi, 256 pp., 22 euro