Stato e avanguardie cosmopolitiche
Laterza, 326 pp., 29 euro
Il cosmopolitismo è l’orizzonte ultimo delle teorie della giustizia che, nel fondamentale dilemma tra libertà e uguaglianza, hanno deciso a favore della seconda e del compito di ridurre le disparità di ricchezza e di opportunità a livello globale. Tuttavia, ed è la critica da cui Lea Ypi parte, queste teorie hanno troppo a lungo insistito sull’arbitrarietà morale delle appartenenze politiche e dei confini, così vedendo negli stati solo un ostacolo al traguardo di una società globale più giusta. Lo stato nazionale, così come lo conosciamo, può invece essere – in forza della sua legittimità sia interna sia internazionale, e delle risorse che è in grado di mobilitare – l’autentico vettore di politiche progressiste: in questo senso gli stati, compiendo un destino già teorizzato da Kant, diventerebbero “persone morali”, capaci di farsi carico di imperativi che vanno a beneficio di chi non appartiene alla cerchia esclusiva della cittadinanza. La conversione morale degli stati è storicamente il compito delle “avanguardie cosmopolitiche” (attivisti dei diritti umani, sindacati, ong, partiti socialisti, ambientalisti, radicali, e i loro uomini nelle istituzioni pubbliche), di cui l’autrice esalta la profonda identità di metodo con le avanguardie artistiche che dall’Illuminismo in poi hanno fatto del teatro, della letteratura, della pittura il veicolo di idee di emancipazione: a loro il compito di persuadere governanti e opinioni pubbliche della bontà e della praticabiltà degli impegni cosmopolitici. Nonostante l’enfasi su attori transnazionali e istanze internazionali, l’autrice riconosce che la vera e fondamentale disparità è quella tra i popoli “ben ordinati” e gli altri che difficilmente potranno affrancarsi dai circoli viziosi di dipendenza e di povertà che l’assistenza allo sviluppo comporta. D’altra parte, l’idealismo realista di Ypi considera, ma non supera, un limite importante: “L’egoismo e la limitata generosità degli uomini”. I cittadini-borghesi non brigano per universalizzare la loro condizione, sono gelosi del proprio stato e faranno resistenza a che esso sia distratto dal garantire le loro aspettative di benessere per dedicarsi ai progetti di giustizia delle élite cosmopolitiche. Troppo spesso, poi, nelle relazioni internazionali il compito di realizzare una giustizia progressiva è obliterato, in situazioni di crisi, dalla necessità di garantire la mera sopravvivenza dell’ordine dato. L’avanzamento degli obiettivi di giustizia presuppone un futuro di pace e stabilità relative, su cui non è detto si possa fare sempre affidamento.
STATO E AVANGUARDIE COSMOPOLITICHE
Lea Ypi
Laterza, 326 pp., 29 euro