Il rinascimento del XII secolo
Castelvecchi, 272 pp., 25 euro
E’ un’epoca piena di novità e di sorprese, per chi sappia osservare senza pregiudizi, il XII secolo. E’ il secolo di Bernardo di Chiaravalle, che si scaglia contro la vanità dello studio della cultura mondana, ed è il secolo di Giovanni di Salisbury, che – sulle orme del suo maestro Bernardo di Chartres, quello del “Siamo nani sulle spalle di giganti” – ha letto tutti gli scrittori latini disponibili e li cita a profusione: “Chi mette in dubbio se i poeti, gli storici, i matematici, debbano essere letti, dal momento che senza questi gli uomini non possono dirsi istruiti?”. E’ il secolo che ama Virgilio e gli costruisce attorno la leggenda della sua tomba miracolosa, ma legge anche Ovidio, la cui Ars amatoria viene interpretata in senso allegorico e copiata perfino nella severa Cluny. E’ il secolo dell’esplosione del commercio delle reliquie, portate in abbondanza dai crociati di ritorno dall’oriente, e del De pignoribus sanctorum di Guglielmo abate di Nogent, che ironizza sulla moltiplicazione dei santi reperti e stigmatizza il loro sfruttamento. E’ il secolo che vede la crisi dei grandi monasteri e l’ascesa delle scuole cattedrali e degli studi cittadini, che assiste alla nascita di un inizio di storiografia rigorosa e al movimento delle traduzioni dal greco e dall’arabo, che getta le fondamenta di un nuovo spirito scientifico, nelle opere di filosofia naturale di Alberto Magno – l’uomo che rigetta credenze infondate come quelle dell’esistenza dei grifoni e del pellicano che si rigenera bevendo il proprio sangue e afferma che “l’esperienza è la migliore maestra in tutte le cose” – come in quelle di Adelardo di Bath, che porta in Europa le tavole di al Khwarizmi e ripete che “Dio è una spiegazione di cui servirsi solo quando ogni altro argomento sia esaurito”.
Da dove viene questa vivacità culturale, per cui si arriva a parlare di un Rinascimento ante litteram? Un’opinione diffusa la vuole figlia delle crociate e della scoperta della cultura araba. In realtà, osserva Haskins, “questo movimento di rinascita è un fenomeno preparato dall’XI secolo, con legami ben individuabili con il periodo precedente, anteriore alle crociate, ai nuovi indirizzi della cultura spagnola e alle traduzioni dal greco dell’ambiente siciliano”. Se cerchiamo qualche fattore esterno che l’abbia favorita, bisogna piuttosto guardare verso le condizioni politiche: “Fu di quest’età un consolidamento delle strutture statali, come si può vedere negli Stati normanni, d’Inghilterra e di Sicilia, nella Catalogna e nella monarchia feudale francese. E’ quindi da riportarsi a tale situazione politica, capace di garantire una certa pace, quell’intreccio di viaggi e di relazioni che è fenomeno tipico di ogni convivenza pacifica”. In altri termini, se l’incontro con la cultura araba e le traduzioni dal greco ebbero un ruolo importante, questo fu piuttosto una conseguenza della rinascita, favorita dalla stabilità politica, che la causa.
Insomma, quel che emerge sono “un Medioevo assai meno cupo e meno statico, e al contempo un Rinascimento assai meno luminoso e improvviso di quanto non si pensasse una volta. Il Medioevo ha vita, colore, movimento, conosce e ricerca avidamente il sapere e la bellezza, afferma la sua genialità creativa nel campo dell’arte, della letteratura, delle istituzioni”. Quasi un secolo è passato dalla prima pubblicazione del classico testo di Charles Haskins, uno dei pionieri del rinnovamento degli studi medievistici agli inizi del Novecento (l’edizione originale è del 1927), ma nulla ha perso del suo interesse e della sua freschezza; e probabilmente della sua utilità, visto come ancora l’immagine di un Medioevo razio-nale e colorato fatica a farsi strada.
IL RINASCIMENTO DEL XII SECOLO
Charles S. Haskins
Castelvecchi, 272 pp., 25 euro