Seconda Roma 1850-1870

Maurizio Stefanini
Silvio Negro
Neri Pozza, 495 pp., 18,50 euro

    Terza Roma” fu lo slogan risorgimentale e mazziniano che sognava nella Città eterna riunita all’Italia una nuova capitale della democrazia mondiale, dopo la Roma capitale imperiale dei Cesari e la Roma capitale cristiana dei papi. Ma tra la Repubblica Romana del 1849 e la Breccia di Porta Pia del 1870 la Seconda Roma ebbe in realtà un lungo crepuscolo, che è appunto l’oggetto dell’indagine di questo libro di Silvio Negro: un vicentino classe 1897, giornalista dell’Osservatore Romano e poi del Corriere della Sera, che nel 1929 si trasferì a Roma come corrispondente vaticano e in seguito capo dell’ufficio romano del Corriere, e che sarebbe poi morto nel 1959, dopo aver scritto vari testi di argomento romano. Ma questo, datato 1943, è forse il più noto. Un classico del suo genere, che tra accuratezza di documentazione e vivacità di narrazione cerca di far capire il modo in cui la Roma di Pio IX – benché consapevole della ineluttabile fine dello Stato Pontificio – cercò di continuare a vivere come se non vi fossero bersaglieri e garibaldini alle porte.
    Non ci sono nostalgie antirisorgimentali come quelle venute alla luce in tempi recenti, ma neanche invettive antipapaline d’obbligo all’epoca in cui quest’opera fu scritta. E’ la storia di una città che al suo interno odora ancora di campagna, di pascolo e di stalla, oltre che di splendori barocchi e glorie del passato. Ma dove già il progresso è iniziato con fabbriche e ferrovie, e dove l’aristocrazia vive in gran parte in maniera sobria e non attacca i cavalli alle carrozze se non nelle grandi occasioni, accontentandosi di esibire la magnificenza che il suo blasone impone in feste date per dovere sociale una volta all’anno. “Gli stracci stessi del mendicante conservano una certa maestà” in questa città, e il popolo ostentava forme di cortesia e urbanità ignote in altre metropoli dell’epoca, dove invece la durezza della modernità aveva fatto prevalere un “tipo canaglia”. Sono proprio gli stranieri, e soprattutto quelli che la fede democratica renderebbe in teoria più ostili versi il regime papalino, i più sorpresi a scoprire che le differenze sociali non costituiscono barriere, e un nobile o un cardinale possono tranquillamente scegliersi un domestico o un cuoco come compagni di tresette o di calabresella. “Una familiarità inesplicabile, che da noi sarebbe mostruosa, unisce a Roma gli uomini di ogni classe”, scriveva ad esempio Amedeo Achard: uno scrittore francese oggi pressoché dimenticato ma che allora era il grande rivale di Dumas.

     

    SECONDA ROMA 1850-1870
    Silvio Negro
    Neri Pozza, 495 pp., 18,50 euro