L'opera poetica
Ares, 728 pp., 20 euro
Popoli, lodate il Signore / su tutta la terra. / Sia una tregua eterna!… Lodatelo con cembali squillanti, con il jazz e il rock dei nostri tempi”. Sono dialoghi con l’umanità ferita, inviti a “portare il fuoco”, nonostante tutto, nella ricerca dell’impasto equilibrato tra quotidiano ed eterno che è la vita, quelli attraverso i quali Elio Fiore dissemina se stesso lungo la sua ricca opera poetica. Un desiderio di coltivare uno spicchio di luce e di speranza nella drammaticità dell’esistenza. Fiore impone la rappresentazione di un mondo straziato dal dolore dell’ingiustizia visibile, eppure costretto a non essere indifferente, a volgere naso e occhi all’invisibile soprannaturale fattosi reale per la salvezza degli uomini. La vita vive in una mendicante tensione di amore. E la poesia è il canto di pubbliche apocalissi e personali frustrazioni, come il bombardamento della città eterna nel ’43 o la schiacciante e routinaria vita in fabbrica, e di altrettante resurrezioni: perché, è vero, “siamo soli nell’amore / nella rosa nella spina”, ma “vivere è già eternità” e “un lampo non è dunque, nell’oscurità un segno?”. Il baricentro da cui tutto scaturisce è nel quartiere romano del Ghetto, in quella via del Portico d’Ottavia che per anni è stata la sua mangiatoia, ma dalla sorgente i versi esplodono, non trattenuti, dal particolare all’universale, e dall’universale al soprannaturale, ricadendo ancora sulla terra per ricongiungere Dio all’uomo, nelle sue paure e nelle sue speranze. Nella raccolta, unica, che contiene tutti i suoi componimenti, da “Dialoghi per non morire” (1964) a “Il cappotto di Montale” (1996) a “In purissimo azzurro” (1986), ma anche inediti e rari, si intravede il segno della circolarità dell’esistenza, che diventa veramente tale quando il suo scopo si salvifica nell’incontro più grande, grazie all’apertura della ragione a un Oltre e a un Altro, che si definisce carnalmente nel tramite insostituibile della Madonna, “Rosa del Creato / Figlia / del Figlio, Verbo trasumanato, / Sceso sulla terra per riportarci a lei, / Madre di Dio e del Creato”. Accade in “All’accendersi della prima stella” (1988) e nel poemetto “Miryam di Nazareth” (1992), dove Maria è insieme eterna e contemporanea. Colei che, “germinata / dall’Amore del Padre e del Paraclito”, fila la veste del figlio e canta la ninna nanna al “dolce mio Iehoshua”. Colei che sta qui, ora: “Oltre / Una rete, a Baghdad, con altre madri / Urlavi il tuo dolore per i corpi / Straziati e crocefissi per sempre”. E’ tutta la carica passionale di “Elio, vivo”, per l’uomo: che se nel mondo non accoglie “la parola singolare”, tuttavia dalla “favola del Signore” è avvinto “al cielo, con l’amore”.
L'OPERA POETICA
Elio Fiore
Ares, 728 pp., 20 euro
Universalismo individualistico