Bandiere rosse, aquile nere

Alessandro Litta Modignani
Guido Cervo
Piemme, 707 pp., 22 euro

    Facendo uso di una prosa schiettamente neorealista, Guido Cervo racconta la grande tragedia della guerra civile italiana, dal 1939 alla Liberazione. Nel descrivere le gesta eroiche dei suoi “anti eroi”, l’autore si colloca nel solco di una vastissima tradizione letteraria nazionale, quella partigiana e antifascista dell’immediato Dopoguerra, e quella dedicata al campo opposto, in anni più recenti (basti ricordare, per quest’ultima, “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa e “A cercar la bella morte” di Carlo Mazzantini, per citare solo due fra le opere più note).
    Nel romanzo di Cervo tutti hanno dunque un cuore: i fascisti e gli antifascisti, i vecchi e i giovani. I comunisti hanno la “fede nell’ideale”, i giovani in camicia nera si battono per “l’onore” e corrono ad arruolarsi nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese. Non mancano tuttavia alcuni malvagi veri, poliziotti torturatori e perfidi stalinisti, che finiranno come meritano. Il racconto prende le mosse dall’epilogo della guerra civile spagnola, quando i volontari delle Brigate internazionali, incalzati dai franchisti, gettano le armi e si consegnano al di là dei Pirenei. Prosegue con la “Résistance” francese, le atrocità nei Balcani, fino alla grande svolta del 25 luglio e quella dell’8 settembre. La Milano occupata di Guido Cervo ricorda quella plumbea di Elio Vittorini in “Uomini e no”, fra agguati, raffiche di mitra, bombe, rappresaglie e una trepida clandestinità nelle periferie operaie. La benestante famiglia Marinelli, con un padre decorato e fascistone, una madre cattolica, un figlio ufficiale, una figlia comunista e un altro più giovane volontario a Salò, ben rappresenta le divisioni dell’Italia stessa e il tormento di quella dolorosa stagione, con le sue amare disillusioni.
    Nel libro non mancano le figure femminili, una fra tutte la bella e spavalda Anita, che scappa di casa ripudiando la famiglia fascio-borghese per raggiungere l’Unione sovietica di Josif Stalin. Nel corso di mille peripezie, sarà proprio quella stessa famiglia, tanto disprezzata, a riservarle le maggiori sorprese, mentre i compagni di partito la spingeranno a una crisi di coscienza. La fine della guerra e la liberazione dal fascismo riporteranno serenità e pace, ma non per tutti. “Era la svolta storica, il momento che anche lui aveva atteso a lungo, in vista del quale aveva sofferto, combattuto e ucciso. Ma non era per lui. Un concorso di assurde circostanze gli impediva di prendervi parte. Per lui cominciava un’altra storia, un salto nell’ignoto che lo sommergeva di interrogativi. Comunque, l’aveva davvero scampata. Per molti anni aveva vissuto confrontandosi quasi quotidianamente con la morte. Che non lo aveva mai voluto, neanche quel giorno. Infine si mise in cammino, per allontanarsi dal paese e prendere il sentiero indicatogli da Mario. Mentre iniziava a inerpicarsi, si disse che era sempre stato pronto a morire, ma adesso, forse, era venuto il momento di cominciare a vivere”.
    Cervo sottolinea di non aver voluto porsi, con questa opera, al servizio di particolari orientamenti politici o ideologici. “E’ il racconto delle vicende di singoli individui, al tempo stesso vittime ed eroi – e talora anche carnefici – nel contesto di una grande tragedia nazionale: un periodo in cui uomini e donne potevano compiere azioni e accettare di esporsi a rischi e sofferenze oggi nemmeno immaginabili”. In effetti, “Bandiere rosse, aquile nere” è un romanzo storico di valore formativo ed educativo, utile a contrastare altre versioni storiografiche, spesso grossolanamente distorte, dello stesso mito resistenziale.

     

    BANDIERE ROSSE, AQUILE NERE
    Guido Cervo
    Piemme, 707 pp., 22 euro