I giorni dell'oro

Flaminia Marinaro
Francesco Pinto
Mondadori, 236 pp., 18 euro

    Olimpiadi di Roma 1960. Una galassia di atleti giunti dagli angoli più remoti del pianeta pronti a sfidare i propri limiti con ogni mezzo. Da quelle Olimpiadi straordinarie uscirono solo vincitori. Con tratto brillante e rapido, l’autore mescola realtà e finzione, si serve della vicenda drammatica della morte del ciclista danese Knud Enemark Jensen per far scivolare la narrazione nel noir e imbastire le indagini condotte dai protagonisti. Il libro non rappresenta una celebrazione che l’autore vuole fare ma  il racconto di  quello che le Olimpiadi del 1960 rappresentarono. Un piccolo miracolo e una grande opportunità  in un mondo certo non  innocente ma che finalmente poteva dimostrare che nonostante tutto un’altra via era possibile.
    Si scrollarono di dosso un passato ingombrante, e lo racconta con delicatezza ricordando l’episodio di Adolfo Consolini, l’atleta contadino che vinse l’oro a Londra nel ’48 e che scalò il podio britannico cantando “O Sole mio” mentre la bandiera saliva muta tra gli applausi della folla festante che inneggiava all’inno italiano dimenticato sotto le macerie della guerra, sotto la promessa delle attenuanti post-armistizio e sotto ancora una volta al Sole, metafora ed emblema del nostro bel paese. Solo una manciata di anni e Adolfo Consolini torna alle Olimpiadi per leggere il giuramento, ma questa volta in un’Italia rinnovata che non ha tradito la promessa sancita a Helsinki e per la quale le competizioni sportive si trasformano in un volano grazie a cui l’impianto urbanistico  di tante città ma di Roma soprattutto viene sensibilmente potenziato.
    Di nuovo la finzione letteraria prende il sopravvento e mentre il Commissario Barbero si accorge della presenza di spie nei backstage olimpionici,  prende corpo la storia d’amore tra gli altri due personaggi attraverso i quali passano le atmosfere della dolce vita, quella caricaturizzata nelle interpretazioni felliniane e di cui Pinto riesce a filtrarne i profumi e gli aromi, della sambuca con il chicco di caffè, delle sigarette Pall Mall e della benzina super che dava vigore alle macchine Alfa lanciate in sorpassi pericolosissimi. Due anni dopo, “il Sorpasso” di Dino Risi verrà consacrato a capolavoro di regia. Ogni capitolo si apre con un titolo di giornale, la celere di Scelba, la Germania divisa dal muro di  Berlino ma che gioca le stesse partite sotto la stessa bandiera e con la stessa maglia bianca, la morte di Mario Riva, la vittoria di Nino Benvenuti, quella di Raimondo D’Inzeo a sorpresa sul fratello Piero, Abebe Bikila l’etiope scalzo, Wilma Rudolph che vinse l’oro dopo aver vissuto un’infanzia da poliomielitica, Livio Berruti, il velocista d’acciaio che spezzò il dominio nordamericano.
    Pochi anni, solo pochi anni e  l’Italia del boom si affaccia alle Olimpiadi con un piccolo esercito di atleti che contribuiranno a restituire un senso di orgoglio e di identità nazionale da fare quasi invidia ai garibaldini, sfilano fieri i campioni del Settebello,  i ciclisti con il grandissimo  Livio Trapé, e la nazionale al completo in una parata il cui l’entusiasmo è contagioso come le pagine di Francesco Pinto che con impeto e trasporto travolgono il lettore e lo inchiodano al libro pagina dopo pagina in un racconto  febbrile  “minuto per minuto”.
    Chi ricorda il  film “La grande Olimpiade” di Romolo Marcellini avrà la sensazione di rivederlo in un fermo immagine attraverso le parole di Francesco Pinto. Ripensare a quelle Olimpiadi, scrive Umberto Broccoli, è come rivedere la nostra vita in uno specchietto retrovisore che punta lo sguardo indietro per andare avanti.

     

    I GIORNI DELL'ORO
    Francesco Pinto
    Mondadori, 236 pp., 18 euro