Angelo che sei il mio custode
Edizioni e/o, 256 pp., 16,50 euro
Siamo nella Puglia garganica. Si beve il Primitivo. Le donne camminano scalze alle processioni. Le chiese sono pagane, hanno pance e forze sotterranee. Da qualche anno spariscono ragazzini. Si cerca il colpevole, un po’ svogliatamente, fino a quando non viene ritrovato, appeso in una grotta, lo scheletro di un bambino che però non sembra corrispondere a nessuno degli scomparsi. Al caso lavora Gerry Esposito, ispettore hardboiled che quando espone un rapporto pensa a Giordano Bruno davanti alla Santa Inquisizione (non che ci si immedesimi: ci pensa e basta, nei noir ci sono i misteri, non le metafore), sensibile a un bel culo ma non per questo laido e corruttore di femmine. E’ rientrato da poco a lavoro dopo una sospensione di quattro mesi. Secondo alcune voci aveva molestato una minorenne mentre era in servizio. E’ schivo, i suoi sentimenti sembrano scarni. Da piccolo i suoi genitori l’hanno abbandonato, conosce bene la cattiveria. Una volta è quasi morto: da allora non ricorda i suoi sogni ma non dimentica mai che quando stava quasi morendo era stato bene, che quel momento era stato “beh, bello”. Nonostante questo, sorride alle persone (meglio se donne), usa il dialetto e, soprattutto, quando fiuta, s’interroga. Non è uno di quegli ispettori che cercano il marcio, l’inumano: cerca l’umano. E’ un personaggio novecentesco. Niente lo sconfigge davvero. Gravitano intorno a lui persone (soprattutto colleghe) ingamba e serie, capaci di fare squadra senza necessariamente volersi bene o finire a fare sesso. I bambini scompaiono e a ucciderli c’è qualcuno ossessionato dalla purezza, il bene che spesso sta a cuore agli assassini, ai mostri, a chi non ha una vendetta, ma una missione da compiere. “La signora voleva essere gentile, ma non ci riusciva”, pensa uno di quei bambini, che nel libro non hanno solo la voce degli innocenti e delle vittime sacrificali, ma soprattutto quella del senso delle cose, che non è mai una risposta, ma sempre una domanda. Al santuario di San Michele, a Monte Sant’Angelo, perla della Puglia operosa che Briatore non conosce, ci saranno alcune risposte e il bandolo della matassa. Giorgia Lepore, autrice di questo secondo “giallo mediterraneo” (il primo è “I figli sono pezzi di cuore” ed è altrettanto valido) è anche un’archeologa e vive a Martina Franca: in molti, aiutati dalla sua biografia, hanno detto che la sua scrittura “scava”. Più semplicemente, Giorgia Lepore scrive magnificamente. Ogni sua parola è un tubo catodico e questo suo romanzo fa molta luce su quel tipo di buio della mente umana su cui l’unica parola sopportabile può dirla la letteratura.
ANGELO CHE SEI IL MIO CUSTODE
Giorgia Lepore
Edizioni e/o, 256 pp., 16,50 euro
Universalismo individualistico