Piombo su Milano
Novecento, 317 pp., 12,90 euro
I milanesi ammazzano al sabato e muoiono, quasi uno su due, tra novembre e febbraio. Molti si suicidano, altri muoiono di freddo, altri freddati. Di Expo, che ha lucidato tutto tranne la targa di capitale morale, sono rimasti l’euforia coatta e sbronza, la meccanizzazione del Fuori salone, gli eventi costruiti intorno a tartine e prosecco nei flûte di plastica. Il convincimento di vivere nell’ombelico del mondo ha trasformato Milano in una “presunta metropoli” e i milanesi in turisti perplessi. Gli ausiliari dello sguardo sono i dress code e non più i libri. Così intontita, Milano cerca la via più semplice. Alla serie di omicidi di rom che si susseguono, reagisce con strisciante solidarietà con l’assassino, il cecchino – così lo chiamano gli investigatori e la stampa, ma pure i leoni da tastiera e i graffitari. Sulle sue tracce c’è Gabriele Sarfatti, blogger, giornalista di cronaca nera e informatore della polizia, che misura il tempo in stagioni e non in mesi (secondo i precetti di Nick Hornby) ed è massiccio, cocainomane e onesto. Viene da Genova, quindi è burbero e poetico. Zucchero – così chiama il suo più caro amico – gli insegna a dare una chance persino ai cantautori da gauche caviar. Formano, insieme, la coppia che Lucio Dalla cantava essere il cuore di Milano e della sua tolleranza: zucchero e catrame. Indispensabili e uniti fintanto che sono in disaccordo, cioè sempre. La prima vittima è un ladruncolo che muore come aveva sempre vissuto, “da stronzo qualsiasi e senza lamentarsi”. Vale anche per gli altri. Sembra che non muoiano persone, ma simboli: a ciascun delitto, anziché seguire lutto, sconcerto e pietà, seguono soddisfazione e sete di vendetta.
Per molti, infatti, c’è finalmente un giustiziere che toglierà le mani degli irregolari sulla città, così divisa tra “noi” e “loro” che persino Sarfatti, sebbene scettico, si adegua a perlustrare la pista più facile e breve, non evocata dai dettagli, ma invocata dal malcontento (“siamo esausti!” urlano le folle, trascurando di essere in antitesi con la narrazione del miracolo milanese che per primi fomentano): la guerra tra bande. In una guerra, però, non si spara solo un tipo di proiettile: Sarfatti sa di sbagliare, ma non sa come dimostrarlo. Fruga tra i campi nomadi, dove Milano assomiglia alle fogne di Gotham City e ai bambini viene insegnato che “se vuoi che le persone siano più buone, friggile”. Conosce il popolo che abita lì, sa che è legnoso e che per averci a che fare senza restare fregati non bisogna voler fare i burattinai. Non trova nessun indizio, ma si rende conto che stava quasi per cedere al buio, alle lenzuola, al calore dei retweet, al paese “iracondo e raffreddato” che non vuole la verità, ma solo gli sfogatoi. Allora, ricomincia da zero e ingrandisce lo sguardo, non solo la lente.
Si chiede quando, di preciso, abbiamo cominciato a sentirci stretti e di cosa siamo stati derubati, se siamo stati derubati. Se è ancora un uomo, di chiede quando gli elemosinanti lo infastidiscono. “Cerca qualcuno che non c’entri un cazzo: nei gialli funziona sempre così”, gli suggerisce Zucchero. E funziona così anche a Milano: la bella e distratta dove “i posti più bui sono quelli sotto i lampioni perché tutti guardano la luce intorno ma nessuno sta mai a osservare da dove nasca”. I perché non sono più domande ma incipit di diritti. Gianluca Ferraris, giornalista d’inchiesta non nuovo al noir metropolitano, è genovese come il suo Sarfatti. Nel suo libro fa freddo, ma Milano si scopre. Il male non si giustifica, ma si spiega. L’amore è profano, l’amicizia è sacra. L’emergenza rom è una spacconata. Non c’è Salvini perché non c’è assoluzione.
PIOMBO SU MILANO
Gianluca Ferraris
Novecento, 317 pp., 12,90 euro
Universalismo individualistico