L'uomo dell'istante
Stig Dalager, Iperborea, 416 pp., 18,50 euro
Sul versante più individuale ed esistenziale della rivoluzione romantica, incrociamo la vita dolente e sofferta di Soren Kierkegaard (1813-1855) gigante del pensiero ottocentesco, scrittore-filosofo permeato fino nell’intimo da un severissimo spirito religioso. Il connazionale Stig Dalager gli dedica una biografia in forma di romanzo. “L’uomo dell’istante” – ma il titolo originale “L’eternità dell’istante” è più aderente – narra la vicenda personale di un essere umano debole e fragile, prigioniero di un’educazione oppressiva, sessualmente represso e capace di amare solo con l’immaginazione. Soren è mortificato nella carne e tormentato dal senso di colpa, per peccati che non ha commesso. Il peso del “dover essere” lo turba e ne condiziona l’intera esistenza. Un estenuante lavoro spirituale lo porta a produrre poesie, saggi, romanzi di immensa grandezza, prostrandolo fisicamente e moralmente. “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno. Io sono un penitente”. Se il confessore obietta: “Ma noi non siamo fatti per vivere soli”, la sua risposta è: “Magari io sì”. Nella Copenaghen protestante dell’800, Kierkegaard interpreta la libertà come fonte di angoscia: “Darsi senza freni alla pazza gioia o alla più assoluta religiosità, non c’è via di mezzo”.
Con queste premesse, il suo fidanzamento non ha alcuna speranza di riuscita, poiché “rispetto alla sessualità, l’angoscia può
Con queste premesse, il suo fidanzamento non ha alcuna speranza di riuscita, poiché “rispetto alla sessualità, l’angoscia può
manifestarsi come pudore o impotenza o come sentimento di una peccaminosa caduta”. Si ostina a lasciare Regine, perché la sua malinconia l’avrebbe resa inevitabilmente infelice; salvo poi pentirsene per il resto dei suoi giorni. “Ora mi rendo conto che avevo paura di essere respinto e di ritrovarmi completamente nudo davanti a un’altra persona”. Si dedica a tormentose riflessioni su Abramo e sul sacrificio di Isacco, non esita a tacciare di ipocrisia e di “cristianesimo stipendiato” la chiesa fastosa e lo stato. “Il resto della gente prende la vita più alla leggera – ammette all’amico che lo rimprovera di essere troppo severo con se stesso – Sono stato una pedina del governo divino e per questo non mi è stato possibile stringere una relazione normale”. Kierkegaard vive soli 42 anni e produce trenta volumi di scrittura altissima.
manifestarsi come pudore o impotenza o come sentimento di una peccaminosa caduta”. Si ostina a lasciare Regine, perché la sua malinconia l’avrebbe resa inevitabilmente infelice; salvo poi pentirsene per il resto dei suoi giorni. “Ora mi rendo conto che avevo paura di essere respinto e di ritrovarmi completamente nudo davanti a un’altra persona”. Si dedica a tormentose riflessioni su Abramo e sul sacrificio di Isacco, non esita a tacciare di ipocrisia e di “cristianesimo stipendiato” la chiesa fastosa e lo stato. “Il resto della gente prende la vita più alla leggera – ammette all’amico che lo rimprovera di essere troppo severo con se stesso – Sono stato una pedina del governo divino e per questo non mi è stato possibile stringere una relazione normale”. Kierkegaard vive soli 42 anni e produce trenta volumi di scrittura altissima.
E’ un pensatore grandioso, inevitabilmente destinato a soffrire, in una breve vita caratterizzata dal pessimismo e da un perpetuo turbamento interiore. “Un soldato di frontiera, bloccato in un avamposto dove si lotta giorno e notte non solo contro i tartari e gli sciiti, ma anche contro le orde selvagge di un’innata tristezza”. La realtà, per il credente, rasenta la follia.
L'uomo dell'istante. Un romanzo su Søren Kierkegaard
Stig Dalager
Iperborea, 416 pp., 18,50 euro