Mio nipote nella giungla
Oliviero Beha
Chiarelettere, 176 pp., 15 euro
Consigli per non smarrirsi in quella giungla affollata di pericoli che è diventata la vita sono quelli di Oliviero Beha al suo piccolo discendente trovatosi a nascere nell’occidente dalle mille contraddizioni e, in particolare, in quest’Italia tanto malmessa.
Ecco “Mio nipote nella giungla”, un amaro calepino attraverso cui quel bastian contrario che è Beha – quello stesso che gli italiani hanno imparato a conoscere dai lontani anni in cui partecipava a una trasmissione di Andrea Barbato in onda su Rai3 – continua ad andare controvento. Con un sovrappiù di cura. Quella di un nonno che si offre come guida amorevole al nipotino prossimo – come Mowgli nel romanzo di Kipling – ad affrontare i più gravi frangenti. Ed eccoli i pericoli: la sanità pubblica, landa desolata di manutengoli incompetenti; quindi i sentieri oscuri dell’alimentazione spesso adulterata; la mutazione lessicale che ha svuotato di significato le parole, facendole diventare vuoti slogan, e l’estrema semplificazione del linguaggio attraverso il telefonino – ancora meglio lo smartphone – generatore di “sberle mediatiche”, quelle che dovrebbero scuotere la platea virtuale con parole definitive con risultati invece spesso tra il comico e il penoso. Altro tema dai mille risvolti inquietanti affrontato da Beha, è quello onnipervasivo del web, finto spazio democratico, in realtà ultimo esito dello scollamento tra ragionamento e scrittura, il logos greco che identificava pensiero e parola – uno dei massimi risultati della civiltà, ossia la filosofia – ridotto a un delirio che sarebbe eccessivo chiamare dionisiaco perché è solo un parossismo vomitato in continuazione da milioni di utenti coperti dall’anonimato che discettano su tutto.
La giungla dilaga tra magistratura politicizzata, giornalisti accucciati al potente di turno, affratellati dal pensiero unico, capitalismo di relazione che produce connubi opachi dove chi deve essere controllato coopta i controllori e chi conduce banche al fallimento riscuote uscite milionarie. E ancora: l’abominio dell’utero in affitto, pratica alla quale coppie etero e omosessuali ricorrono scambiando il desiderio di un figlio con il diritto di costruirselo (mercificando la donna e andando a cercare questa soluzione fuori dall’Italia, dove è ancora un reato, ma accessibile solo a chi può permettersela).
Non si poteva tacere nel tempo della Terza guerra mondiale non dichiarata ma in atto, il riferimento al terrorismo fondamentalista e alle immani responsabilità che hanno i governi cosiddetti illuminati. Oliviero Beha non ripone molta fiducia negli italiani, ricorda Giorgio Albertazzi come un esempio di coerenza, il non aver lui, come molti altri, rinnegato l’adesione alla Repubblica sociale italiana ma anzi di averla spiegata come un esempio di patriottismo a fronte di un paese che aveva tradito il suo alleato.
Beha tristemente identifica il conformismo attuale all’esser tutti stati (o quasi) fascisti durante il regime, come una forma di codardia del pensiero. Augura a tutti coloro che oggi vivono l’età dell’innocenza di trovarsi ad affrontare un mondo difficile – forse da ricostruire – di saper ritrovare la libertà di un pensiero autonomo e indipendente, di avere la capacità di pensare in proprio e non su commissione, restando sempre pronti a pagarne il prezzo. Beha si congeda dai suoi lettori con un consiglio. Che ciascuno può leggere come affermazione di sé o scacco definitivo: chi non è disposto a vendersi, piuttosto che cambiare se stesso sia disposto ad andar via dall’Italia, cerchi qualche radura nel buio della giungla in cui gli è toccato nascere. Tanto, si sa, per ogni scelta di dignità – ogni volta che si dice no – il prezzo da pagare è sempre alto. Altissimo.
MIO NIPOTE NELLA GIUNGLA
Oliviero Beha
Chiarelettere, 176 pp., 15 euro