La Francia in nero
Marco Gervasoni
Marsilio, 320 pp., 17,50 euro
Le famiglie politiche della contemporaneità (e il noto distinguo destra-sinistra che appare oggi irrimediabilmente in crisi) nascono e si formano nella Francia post rivoluzionaria. Su questo esiste una concordanza di vedute fra gli studiosi e gli opinionisti. Ma quali cose rendono “uniche” la destra e, soprattutto, l’estrema destra? Qual è il filo conduttore che ne permea l’immaginario, l’agire politico dal 1789 ai giorni nostri? Il lavoro di Marco Gervasoni, professore ordinario all’Università del Molise e noto esperto di Storia politica francese (in special modo del socialismo), cerca di fornirci una risposta e di argomentarla all’interno di oltre trecento pagine dedicate ai percorsi dell’estrema destra transalpina dalle origini sino a Marine Le Pen.
Non sono né il nazionalismo, né il cattolicesimo, né la repubblica, né la democrazia, né il razzismo e l’antisemitismo a definire adeguatamente la lunga durata dell’estrema destra francese. E’ semmai la critica al concetto di rappresentanza, cioè al Parlamento, ovvero alla mediazione. I corpi intermedi non soltanto eliminano il rapporto diretto fra il “capo” e la “massa”, ma tendono anche a sfibrare la comunità, a creare quella libertà che è sempre e comunque il terreno d’azione preferito dei “grossi”, di tutti coloro che vogliono la circolazione di uomini, di merci e di valuta. L’autore non lesina di accennare al confronto tra gli estremi che si toccano in numerosi punti e che, non a caso, hanno dato vita a numerose migrazioni (da Boulanger a Barrès, da Doriot a Drieu La Rochelle). Ma evita di ricorrere all’abusata categoria di “populismo”, oggi così in voga fra i politologi.
La prima parte del libro, che analizza le origini dell’estrema destra dal 1789 a Napoleone III (1870), si conclude non a caso con la nascita della Terza Repubblica e con l’inizio dei travasi fra le due estreme, che avrebbero portato al boulangismo, all’affaire Dreyfus, all’Action française e alla nascita del socialismo nazionale. Il primo Dopoguerra segna uno spartiacque non soltanto economico, ma anche politico, perché l’estrema destra può far sentire la propria voce in un paese prostrato (come vediamo nelle leghe), sino alla pagina del collaborazionismo di Vichy. Infine il secondo Dopoguerra, dalla decolonizzazione al poujadismo, dalla crisi della Quarta Repubblica al gollismo, dalla nascita del Front national sino all’ascesa di Marine Le Pen.
La globalizzazione degli ultimi decenni ha finito per mettere in crisi non solo il classico distinguo destra-sinistra, ma anche il concetto di rappresentanza. Le risposte procedurali e parlamentari alla stagnazione economica sono percepite come inadeguate, farraginose, utili sempre e comunque alle élite economiche e intellettuali. L’immigrazione è percepita come un fardello gravante esclusivamente sulle deboli spalle dei ceti piccoli e medi. In questa dialettica tra percezione e realtà si insinuano le risposte “dirette” e “ignoranti” alla trasformazione politica del continente europeo fornite dai movimenti antimondialisti.
La recente affermazione di Marine Le Pen circa la “non responsabilità” francese nel rastrellamento degli ebrei di Vel d’Hiv (luglio 1942) può essere vista, come hanno fatto frettolosamente molti opinionisti, come un subdolo tentativo di negare la storia e le responsabilità francesi nell’organizzazione della Shoah. Ma, a un esame più attento, è anche una spia di un cambiamento di paradigma in corso d’opera: la destra popolare francese ha capito che l’antisemitismo è assai meno importante dell’antislamismo. Gerusalemme val bene una messa.
LA FRANCIA IN NERO
Marco Gervasoni
Marsilio, 320 pp., 17,50 euro