Il giardino dei cosacchi

Alessandro Litta Modignani

Jan Brokken
Iperborea, 400 pp., 18,50 euro

Del barone russo Alexander von Wrangel, Jan Brokken aveva già anticipato qualcosa nel suo bellissimo Anime baltiche, di pochi anni fa. In questo Il Giardino dei cosacchi ne fa un testimone d’eccezione, l’io narrante di un romanzo tutto incentrato sulla vita aspra e drammatica di Fedor Dostoevskij. Di origini tedesco-baltiche – “Ma io non ho mai desiderato altro che essere russo” – Wrangel aveva assistito da giovanissimo alla messinscena della fucilazione, sospesa solo in extremis, di un gruppo di intellettuali, fra cui lo stesso Dostoevskij, giudicati pericolosi cospiratori, la cui pena era poi stata commutata nei lavori forzati al confino.
Alcuni anni dopo, poco più che ventenne, il barone entra a far parte dell’amministrazione giudiziaria zarista e viene destinato a una sperduta cittadina della Siberia centrale, ai confini con Cina e Kazakistan. Qui Wrangel ritrova Dostoevskij, che ha scontato gli anni peggiori in un “katorga” siberiano – i campi di lavoro penale che nel ’17 saranno ribattezzati “gulag” – ed è poi stato esiliato in quella stessa località. Fra i due nasce un’intima amicizia.
“Nei dintorni di Semipalatinsk riuscii a trovare solo una dacia con un bel giardino. (…) Gli proposi di lasciare la sua baracca che in estate era ancora più squallida e di trasferirsi da me. La dacia portava il nome di Giardino dei cosacchi. Già solo per quel nome F. fu contento di venirci”.
Fedor ha undici anni più di Alexander, che ne subisce l’avvolgente personalità. Lo scrittore dipende in tutto e per tutto dal giovane amico, che lo sfama, lo mantiene e lo protegge, avendone in cambio le confidenze di un animo superiore e sublime. Fedor e Alexander si dicono tutto, si scrivono di continuo, si allontanano solo con grande rammarico l’uno dall’altro. La loro amicizia è al contempo romantica e virile, ottocentesca e libertina. Entrambi si innamorano di due donne “sbagliate”, sposate ed eccentriche. Marija, la futura prima moglie di Dostoevskij, è drammaticamente povera e si illude che il grande scrittore la potrà un giorno riscattare dall’oppressione di un marito insulso e ubriacone. Katja invece ha molti più anni di Alexander ed è un’amante lussuriosa, collezionista di spasimanti che rendono pazzo di gelosia il giovane magistrato.
“Ho bisogno di te come dell’aria per respirare – dice Dostoevskij a Wrangel quando questi decide di partire – Sei stato tutto per me in questo posto, un amico, un fratello. Con te ho potuto parlare, con te ho potuto condividere i moti dell’anima…”. La dipendenza dello scrittore dall’amico deriva evidentemente dall’estrema indigenza e dalla continua necessità di denaro. Il giovane Wrangel, a sua volta, è affascinato da Dostoevskij per la straordinaria sensibilità e l’acume, ma capisce fin troppo bene che l’altro lo sta sfruttando. Lo stato di necessità induce Fedor a comportarsi da egoista.
Sulla natura di questa amicizia non è lecito coltivare equivoci, avverte Brokken in una nota. “E’ imbarazzante che Sigmund Freud, nella sua analisi di Dostoevskij, si basi in pratica esclusivamente sui ricordi della figlia. Il fatto che Dostoevskij accettasse che Marija, sia prima che dopo il loro matrimonio, avesse una relazione con il maestro di scuola, era secondo Freud indicazione di latente omosessualità”. Lo scrittore olandese, che ha studiato a fondo la corrispondenza fra i due amici, non condivide affatto questa interpretazione: “Mi sono calato nei panni di Alexander von Wrangel per penetrare più a fondo nel cuore di questa storia realmente accaduta”.

IL GIARDINO DEI COSACCHI
Jan Brokken
Iperborea, 400 pp., 18,50 euro

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