?. Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google
Antonio Sgobba
Il Saggiatore, 344 pp., 20 euro
L’Italia è nel mondo il Paese più ignorante secondo l’Index of Ignorance compilato dalla Ipsos Mori, e va bene. Alle domande della società di sondaggi britannica gli italiani hanno risposto che i disoccupati nella penisola raggiungono il 49 per cento (sono il 12) e gli immigrati il 30 (in realtà il 7), e va bene. Anzi, va decisamente male. Ma pensate a una situazione opposta, cioè un’Italia ad alta concentrazione di sapienti, quella che si trova per esempio nelle università, notoriamente le comunità più difficili da gestire. Sarebbe un paese forse più ingovernabile di quello che è: con troppe persone orgogliose della propria intelligenza, non disposte a collaborare. L’ignoranza è infatti un grande vantaggio evolutivo, perché ci costringe a cooperare: ognuno è depositario di un sapere individuale e si affida agli altri per avere accesso ad altre conoscenze e sfruttarle. Questo è anche ciò che, secondo Weber, distingue il selvaggio dall’uomo moderno: il primo sa tutto degli strumenti che adopera, il secondo quasi niente (come funziona la tastiera su cui sto scrivendo per esempio) senza che questo sia un problema. Nessuno lamenterebbe l’ignoranza in campo astronomico di un medico. Ognuno necessariamente non conosce qualcosa, ma potrebbe volendo porvi rimedio.
Poi c’è anche chi, pur avendo solo una laurea in Scienze della comunicazione, inventa trattamenti a base di cellule staminali, o si improvvisa esperto antivaccinista. Ma qui, oltre che nella cronaca, si entra in un problema più grave: la metaignoranza. E inondare questi ignoranti al quadrato di informazioni, rendendole a tutti accessibili, non basta. Perché per rimediare alla propria ignoranza in un certo campo bisogna prima ammetterla: l’errore non deriva dalla difficoltà a trovare la risposta corretta ma dall’incapacità di porsi le giuste domande.
Quindi le campagne contro l’ignoranza non servono a nulla. Anche perché non considerano il dato di fondo. Cioè che l’ignoranza non è il contrario della conoscenza, ma le è intrinsecamente connessa. Anzi addirittura aumenta con la conoscenza: si può immaginare quest’ultima come un’isola nell’oceano dell’ignoto. All’aumentare della superficie dell’isola aumenta anche il perimetro confinante con l’ignoto. Più si sa e più ci si accorge di non sapere. Utile sarebbe piuttosto educare, oggi che Google ci dà l’impressione di poter accedere a ogni contenuto, ad arrendersi ai limiti del conoscibile e imparare il valore dell’incertezza.
Antonio Sgobba compila questo campionario esperienziale e filosofico sull’ignoranza, tra rapinatori troppo stupidi per capire di esserlo ed economisti illusi di poter prevedere ogni scelta dei soggetti, sapienti con sindrome dell’impostore (quella che vi fa credere, quando avete successo, che sia stato un caso) e utili autoinganni (“se crediamo di essere meglio di ciò che siamo realmente, saremo in grado di prenderci cura degli altri, saremo più felici”). Passando per James Ferrier, che ne ha fatto addirittura un ramo filosofico: l’agnoiologia, otto preposizioni per dire che ciò che ignoriamo è sempre più di ciò che crediamo di ignorare. Fino ad arrivare, la parte più interessante del libro, alle illusioni di onniscienza date dalle nuove tecnologie.
La mente non è onnipotente, usa sistemi di memoria esterni, che a volte sono proprio le altre persone. Internet è la prima e unica memoria esterna immediata e onnisciente. Dotata anche della curiosa caratteristica di trasferire sul soggetto un’illusione di conoscenza assoluta, cioè far credere a chi lo utilizza che ciò che ha appreso tramite la ricerca online fosse in realtà già in suo possesso.
?. IL PARADOSSO DELL'IGNORANZA DA SOCRATE A GOOGLE
Antonio Sgobba
Il Saggiatore, 344 pp., 20 euro