Il mio nemico mortale
di Willa Cather, Fazi, 90 pp., 9 euro
E’nata nel 1873 a Winchester ed è morta nel 1947 a New York, ha vinto il Pulitzer con One of Ours nel 1923 ed è stata una delle giornaliste (molti gli anni spesi al McClure’s Magazine a New York) e scrittrici più talentuose d’America. Eppure in Italia è arrivata tardi, per lo più sconosciuta al grande pubblico, che ora può godersi il ritorno in libreria di Willa Cather, pubblicata da Fazi con Il mio nemico mortale.
Chissà perché a volte ci si dimentica di certi colossi della letteratura, proprio come la Cather, che in poche mosse – con Il mio nemico mortale arriviamo a malapena a novanta pagine – costruisce una storia spietata e rapida come una frustata, ma anche profondamente classica, nel senso più pacato del termine.
“Sembrava insieme forte e spezzata, generosa e tirannica – una vecchia arguta e un po’ perfida, che odiava la vita per le sconfitte che le aveva imposto e l’amava per le sue assurdità”: è così che Nellie Birdseye, voce narrante del romanzo, descrive la vera protagonista, Myra Driscoll sposata Henshawe, che della sua vita sembra averne fatto un gioco al ribasso. Molti anni or sono, la perfida Myra – che nella prima parte del romanzo, quando incontra Nellie insieme a sua zia Lydia, ci ricorda vagamente Mrs. Dalloway, sebbene più maliziosa e dalla risata ingombrante e sguaiata – ancor giovane e carica di aspettative per il futuro, decide di fuggire dalla casa dell’amorevole, opprimente, dittatoriale zio John, per sposare Oswald Henshawe, coniuge devoto, sì, ma facile alle distrazioni offerte dal gentil sesso. E’ infrangendo il divieto dello zio che Myra, con la sua fuga, resta nella storia di Parthia ma resta, anche, fuori dal testamento del danaroso parente, che valutò così tanto la bellezza e l’allegria di sua nipote da cederle due terzi di tutte le proprietà.
Niente soldi, rimane l’amore. Basterà? Apparentemente sì, il matrimonio degli Henshawe sembra andare a gonfie vele, eppure Nellie avverte lo spiffero gelido di sottili incrinature, da cui passa il vento dell’odio. Dieci anni dopo il primo incontro a New York, Nellie ritrova Myra e Oswald in una città della costa occidentale, lei malata, lui smunto e dall’aria stanca. La seconda parte di questo breve gioiello non ospita che il cammino di Myra verso la morte, accompagnata dal suo nemico mortale.
“Un uomo e una donna si separano dopo un lungo abbraccio e vedono cos’hanno fatto l’uno all’altra. Forse non riesco a perdonare Oswald per il male che io stessa gli ho fatto”: in questo caso l’abbraccio è letale, ferino, perché Oswald e Myra hanno speso una vita insieme all’ombra dell’odio, che resta il sentimento più duraturo di tutti. Sono stati amanti e nemici, hanno saputo farsi tanto male quanto basta affinché Myra, vicina alla fine, riconosca il suo “nemico mortale” in Oswald e in se stessa: senza figli al seguito, i coniugi formano un’unica solida bolla di insofferenza; Myra Driscoll è sconfitta, non può tornare indietro dallo zio John, non può più rincorrere quel successo che la rende così invidiosa da farle arricciare la bocca “come un serpentello”.
Willa Cather – Truman Capote ne ricorda lo sguardo, “i suoi occhi erano l’azzurro pallido di una prateria all’alba in una giornata limpida” – dipinge, con sobrietà, utilizzando una scrittura essenziale e priva di inutili orpelli, il ritratto di un tiranno col cappello di pelliccia; Myra odia tutto ciò che non è e soprattutto ciò che non ha, odia l’amore per cui ha rinunciato al suo posto nel mondo. Annegherà in solitudine, come un animale che si accartoccia su se stesso, risucchiato dalla propria bile.
IL MIO NEMICO MORTALE
Willa Cather
Fazi, 90 pp., 9 euro