La paura
di Anne Holt, Einaudi, 542 pp., 21 euro
L’odio e la paura irrompono nella vita della criminologa Johanne Vik e del marito, il commissario Yngvar Stubø, quando l’omicidio del vescovo Eva Karin Lysgaard, particolarmente amata dalla comunità, è seguito dal ritrovamento del cadavere di un giovane rifugiato. Gli eventi che Anne Holt racconta ne “La paura” si svolgono tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, anno in cui il libro è pubblicato in Norvegia. Che al lettore italiano il romanzo sia stato proposto da Einaudi nel 2017 è una contingenza, certo, eppure è interessante tenerne conto. Perché Holt costruisce attorno al tema centrale degli hate crimes, i crimini perpetrati ai danni di minoranze discriminate. Oggi si è sviluppata al riguardo un’attenta sensibilità: dai timori di quanti parlano di un rinascimento del razzismo statunitense, agli appelli delle figure istituzionali per il contenimento dell’hate speech su internet.
Prima di continuare su questo aspetto, orientiamoci nel libro, esaminandone la struttura. La narrazione è affidata a un gruppo di personaggi: chi legge segue una serie di punti di vista inanellati. E’ il meccanismo che A Song of Ice and Fire ha reso pop, ma con una differenza. Ne La paura, la corrispondenza non è un personaggio un capitolo, bensì, in uno stesso capitolo, intitolato all’elemento in esso decisivo, più prospettive sono legate insieme da un rimando in rima: la fine di un paragrafo è ripresa tematicamente all’inizio del successivo. Accortezze che il lettore apprezza, insieme all’omogeneità stilistica riservata alle notevoli descrizioni della nazione dei fiordi, fredda e impreziosita dagli addobbi natalizi. Tutto ciò garantisce di non smarrirsi nella torma di personaggi che diventa man mano più numerosa.
Ciononostante, non si può fare a meno di chiedersi quanto alcuni di essi siano effettivamente essenziali: spesso un personaggio viene usato solo come testimone di un avvenimento e poi messo da parte, o, peggio, comprimari che ci accompagnano per molte pagine si scoprono essere funzionali esclusivamente a un singolo evento, ed esaurito il compito, scompaiono. Sono le parti dedicate alla coppia Vik-Stubø a ricevere il grosso delle attenzioni. In Johanne Vik convivono una madre angosciata e una profiler dotata di grande intuito: si trova coinvolta nelle indagini, affrontando nel frattempo la paura per l’incolumità della figlia, affetta da una forma di autismo, a rischio già dalla prima pagina. Eroina del romanzo e sicuramente beniamina dell’autrice: infatti, la soluzione le arriva grazie a una contingenza – noi, che ne abbiamo sfruttata una più su, ci interroghiamo sull’opportunità di farlo in un giallo – lungo il flusso della narrazione; non commette praticamente nessun errore, e le azioni più discutibili le vengono condonate. Più si legge di questa perfezione, più cresce l’affetto verso la controparte maschile, molto più umana. Stubø non riesce sempre a rispettare la dieta, si innervosisce, si stanca: insomma, sbaglia. Le pagine in cui riflette, lavora, o interagisce con la famiglia di Lysgaard spiccano come le più ricche e interessanti.
Le caratteristiche di Vik inducono a pensare che più degli altri sia depositaria della voce dell’autrice. Lo si evince dal tono didascalico con il quale la protagonista riflette, nel capitolo centrale del libro, sulla complessa problematica dei crimini d’odio, e dello spinoso rapporto fra hate speech, free speach e hate crime. L’occhio smaliziato dall’attualità ha gioco facile nel riconoscere l’ingenuità delle pagine alla questione dedicate: un retorico e superficiale elogio del “modello Norvegia” da discorso politico.
LA PAURA
Anne Holt
Einaudi, 542 pp., 21 euro