Il Borghese
Werner Sombart
Aracne, 470 pp., 36 euro
Werner Sombart (1863-1941) è stato uno storico e sociologo tedesco di fama mondiale. Molti dei suoi lavori sono tradotti ininterrottamente in italiano da oltre un secolo. Del 1891 sono le prime edizioni delle sue opere (il saggio sulla Campagna romana tradotto da Jacobi per Loescher). Nel periodo interbellico abbiamo la pubblicazione dei saggi sul capitalismo (per Vallecchi, in particolare). Nel secondo Dopoguerra segnaliamo la pubblicazione di altri lavori sul capitalismo e sugli ebrei nella vita economica (per Longanesi, Utet e Ar). Aracne ha deciso di pubblicare una seconda edizione integralmente ritradotta del Borghese, a cura di Federico Trocini, valente storico della Germania a cavallo tra l’Otto e il Novecento. La recente “fortuna” di Sombart non è affatto casuale e – come vedremo – deriva da una confluenza di due fenomeni storici, politici ed economici: la vittoria della tecnica e la ricerca di una base “spirituale” delle identità globalizzate. Il sottotitolo del saggio spiega assai bene l’intenzione dell’autore: ricostruire la storia intellettuale e morale dell’uomo economico moderno. Dopo una breve introduzione dedicata a marcare la differenza dalle interpretazioni concorrenti (quella marxiana, in particolar modo), l’autore dedica la prima parte del saggio all’analisi dello sviluppo dello spirito capitalistico, concentrandosi sullo spirito imprenditoriale, sullo spirito borghese, sulle manifestazioni nazionali dello spirito capitalistico e sulla figura del borghese nel corso del tempo. La seconda parte è dedicata alle fonti dello spirito capitalistico: le basi biologiche, le forze morali e le condizioni sociali. La parte conclusiva cerca di delineare le possibili cause della “crisi” dello spirito capitalistico, che l’autore individua nella perdita dello slancio imprenditoriale (la sazietà del borghese “rentierizzato”) e nella crescente burocratizzazione del capitalismo (apparati amministrativi, regolamentazione, finanziarizzazione e sindacalizzazione).
La nuova edizione del testo di Sombart presenta una lunga ed esauriente analisi introduttiva di Trocini, che tenta in particolar modo di sviscerare le analogie e le differenze tra la metafisica marxiana e quella sombartiana. Malgrado le peculiarità del sistema sombartiano (lo “spiritualismo”, la visione anti meccanicistica della storia e la posizione anti tecnicistica), le due metafisiche presentano non pochi punti in comune. Fra questi, il più importante è l’ansia di spezzare l’incipiente fenomeno di alienazione dell’uomo da se stesso. Questo ci sembra il punto verso cui entrambi i sistemi convergono, seppur da percorsi (apparentemente) differenti: il meccanicismo dell’uno e l’organicismo dell’altro spingono nella stessa direzione. L’uomo non è più misura di tutte le cose, perché – come scrisse l’intellettuale ebreo Bin Gorion a fine Ottocento in un lavoro filosofico poco noto, ma riedito in Italia da Free Ebrei – è la “misura” a esser diventata misura di tutte le cose.
Che cosa intendiamo dire? Torniamo per un momento ai problemi della tecnica e della base “spirituale”. Sombart è destinato a diventare un classico dei prossimi decenni. La sua produzione contiene tutto ciò che oggi cerca il lettore medio interessato a costruirsi un’opinione (cioè una visione) del mondo globalizzato: presenta una filosofia della storia priva del determinismo marxiano; ammette l’esistenza di basi “biologiche” nella storia morale e intellettuale; fornisce un quadro cupo e preoccupante sull’uomo quale strumento della tecnica. Di fronte alla percezione della vittoria della misura (cioè dell’astrazione) sull’uomo (cioè della concretezza), di una prossimità spaziale e una continuità temporale ormai spazzate via per sempre, ecco che autori come il sociologo tedesco guadagnano e guadagneranno sempre più lettori.
IL BORGHESE
Werner Sombart
Aracne, 470 pp., 36 euro