Fuori controllo
di Thomas Hylland Eriksen, Einaudi, 205 pp., 20 euro
In Collasso Jared Diamond diceva di come “le società scelgono di morire o vivere” e, in un vortice tragico, la questione ecologica della stretta interrelazione tra gli aspetti più diversi della vita umana veniva messa in luce con precisione. Con gli stessi pregi dell’opera di Diamond arriva, a distanza di dodici anni, sempre per Einaudi e sempre con un titolo apocalittico, Fuori controllo dell’antropologo norvegese Thomas Hylland Eriksen.
Il saggio è accessibile, solido e, proprio come quello di Diamond, totalmente incentrato sulle cause profonde dei pericoli che corre la specie umana. Le contraddizioni tipiche dei periodi segnati da cambiamenti repentini sono le vere protagoniste del saggio, e vanno a inserirsi in tre macro-insiemi che l’autore sostiene essere gli snodi più “caldi” della contemporaneità: la questione identitaria, quella ambientale e quella economica. Questa troika del pessimismo costituisce un unico enorme gomitolo ecologico dove, seguendo i fili che lo compongono, si trovano elementi tanto diversi quanto legati da strettissimi nessi causali. Dalla sostenibilità del turismo alle esternalità negative dell’economia industriale passando per l’aumento delle migrazioni di massa: il denominatore di questi problemi si incarna nel fatto che, sebbene siano globali, vengono percepiti localmente. Da qui nasce l’equivoco di affrontare nazionalmente – o regionalmente – problemi globali. Questa connessione indistricabile del panorama globalizzato viaggia lungo il testo del professore norvegese a partire da una frase di Lévi-Strauss: Le monde est trop plein. La pienezza del mondo, e il conseguente suo surriscaldamento, rende i problemi sociali, economici e ambientali più sfuggenti. Perché il lettore sia al corrente di quale immane irruenza governi il metaforico treno della contemporaneità, su cui siamo tutti, più o meno comodamente, seduti, si propone una minuziosa serie di dati inseriti in un continuo gioco comparativo tra l’epoca pre-globalizzazione e la contemporaneità. Il risultato, neanche a dirlo, è un manifesto della catastrofe imminente. L’effetto che si prova nel leggere il saggio è desolante, come quando ci si sente empaticamente assenti nel guardare quei documentari sugli insetti dove i movimenti all’interno della colonia sono accelerati di proposito. Quanta stranezza e repulsione ci trasmettono le formiche con quei movimenti frenetici e incomprensibili. Ebbene, si tratta della stessa sensazione che si prova a leggere il mondo con Eriksen. Tutto sommato la stessa, qualcuno se ne ricorderà, che si provava davanti ai lavori di Gualtiero Jacopetti, i “mondo movie” che trasmettevano, in un collage astruso e meccanicista, la frenesia della modernità. Se la lettura del lavoro di Eriksen è traboccante di informazioni e collegamenti fecondi, non si può fare a meno di nutrire il sospetto che alla base si annidi una certa capziosità del punto di vista, un lavoro di conferma delle proprie preoccupazioni portato avanti ad baculum cioè attraverso l’imposizione (retorica) della paura. Una mossa rivolta all’emotività dello spettatore, proprio come l’accelerazione della velocità delle formiche.
Lo stesso Lévi-Strauss, quando per il suo compleanno accolse sbrigativamente Nicolas Sarkozy, disse di considerarsi un “non vivo” riferendosi non all’età, ma alla sopraggiunta mancanza di strumenti per interpretare il mondo intorno a sé. Verrebbe da ricordarlo a Eriksen che per quanto complesso, il mondo è sfuggente solo agli occhi di chi non ha gli strumenti per coglierne gli andamenti. Se non fosse che la vicenda la racconta lo stesso Eriksen.
FUORI CONTROLLO
Thomas Hylland Eriksen
Einaudi, 205 pp., 20 euro