Suttaterra
Orazio Labbate Tunuè, 140 pp., 12 euro
L’evoluzione del gotico siciliano e di tutto quel che ruota attorno al mondo onirico spirituale dell’isola trova il suo portavoce nel giovane scrittore di Butera Orazio Labbate. Per parlare dei suoi libri e di quella che è una vera e propria letteratura dell’oscurità, bisogna partire dall’autore stesso e dalla sua lingua: Labbate ha esordito nel 2014 con “Lo Scuru”, di fatto il primo romanzo di una trilogia che prosegue con “Suttaterra” (da poco in libreria per Tunuè, nella collana diretta da Vanni Santoni) ma che della trilogia ha solo le intenzioni contenutistiche, giacché ogni testo può esser letto e compreso in totale autonomia. La forza della poetica di Labbate risiede anzitutto nel suo utilizzo delle parole, fonte e germoglio di una prosa magica e complessa, dal nitido sapore ottocentesco. Se ne “Lo Scuru” aveva lasciato che il dialetto siciliano riempisse le pagine del romanzo – e non solo i dialoghi fra i personaggi – così che emergesse “quell’urgenza sicula” che è il tratto distintivo della sua penna, in “Suttaterra” vi è una commistione di sicilianità – più cauta, molto calibrata – e di un timbro antico, quasi familiare alla Scapigliatura milanese.
La “Suttaterra” di questo romanzo è tanto quella di Milton, West Virginia, dove il protagonista Giuseppe Buscemi – trentenne, becchino di professione, figlio di quello “Scuru” Razziddu Buscemi che dopo l’emigrazione dalla Sicilia diventò un fervente predicatore – è nato e risiede, tanto quella di Butera, o meglio di quel tratto di terra che separa Butera da Gela e che è la terra di origine del nostro. Giuseppe deve fare i conti con la perdita della moglie Maria che lo consuma giorno dopo giorno, fin quando non riceve, ad un anno dalla morte, una lettera della defunta che lo invita a raggiungerla a Gela, dove si sposarono. La lettera sembrerebbe autentica, scritta dalla stessa Maria, e così Giuseppe, in preda al panico e al desiderio di rivedere sua moglie, parte per la Sicilia, un viaggio a metà tra dimensione onirica e spietata realtà.
Giuseppe Buscemi e Maria Boccadifuoco: perfino nei nomi dei protagonisti vi è una ricerca superiore, la consapevole miscela di spiritualità, fede mistica e passione, sconvolgimento, arditezza. In “Suttaterra” persiste questo rapporto disconnesso e informe – eppure chiarissimo – tra fanatismo e rivelazione religiosa, tra la morte – che è solamente un “fatto di terra”, ha un significato materiale e pratico, si torna ad essere polvere e si sprofonda nel terreno – e la vita umana, che diventa una caccia agli errori divini. Tra ricordo, dolore e speranza, i piani temporali si intrecciano così che passato e presente tornano ad essere due facce diverse della stessa medaglia.
Riccardo Falcinelli
Einaudi, 472 pp., 24 euro
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