Non riesco a farne a meno
Sharon Begley
Feltrinelli, 285 pp., 16 euro
Il gioco d’azzardo. Il sesso dongiovannesco e seriale. L’accumulo casalingo di oggetti inutili a formare muri invalicabili. Le ore passate davanti a un videogioco. Ma anche il camminare evitando di calpestare le linee del selciato o il compiere ogni azione, come mangiare biscotti, solo in sequenze di numeri dispari. Ognuno ha la sua ossessione, o meglio, il suo comportamento compulsivo, ma la causa scatenante è per tutti la stessa: l’ansia. Al contrario delle dipendenze, che danno una botta edonica iniziale e poi provocano assuefazione, le compulsioni non hanno origine nella ricerca del piacere ma in un prurito psicologico permanente che sentiamo la necessità di placare con urgenza. La nostra mente ci ha insegnato a tenerlo a bada con comportamenti spesso irrazionali che non danno gioia ma sollievo: guardare continuamente lo smartphone o fare acquisti senza freno ci illude di avere, nel caos del mondo, un nostro microspazio controllabile e rassicurante, sia questo la casella di posta elettronica o il guardaroba. I comportamenti compulsivi hanno origine adattiva, come l’ansia che ne è alla base, e sono del tutto normali, salvo diventare patologici e quindi insopportabili, a noi o a chi ci sta attorno. Emblematico il caso dell’uomo che per sedici anni ha fischiettato compulsivamente canzoni di carnevale, portato alla fine dalla moglie esausta in una clinica di salute mentale.
Se l’ansia, come evidente guardandosi dentro e attorno, è il problema del secolo, il libro della giornalista scientifica Sharon Begley, in ogni singola pagina illuminante e sorprendente, oltre a descrivere perfettamente i nostri tempi viviseziona il suo lettore. Nessuno può leggerlo senza riconoscere nei propri comportamenti quotidiani la stessa radice psicologica dei molti casi clinici presentati. Dal ricontrollare mille volte di aver chiuso il gas al non riuscire a staccarsi dal nuovo e demenziale videogioco scaricato sullo smartphone. Begley descrive con precisione i meccanismi neurobiologici e psicologici alla base dei comportamenti apparentemente più assurdi (sfruttati con astuzia dai programmatori di videogiochi).
Da una parte l’ansia, causa scatenante delle compulsioni, dall’altra la dopamina, ad autoalimentarle e intensificarle. Mettete un giocatore compulsivo davanti a una slot machine e a lungo andare si comporterà come i ratti studiati nel 1954 all’Università di Montréal, con una leva collegata a un elettrodo che attivava l’ipotalamo, la “centrale delle emozioni” nel cervello: se gli si lasciava la libertà di azionarla lo facevano in continuazione, dimenticandosi anche di mangiare. Tra cibo e dopamina sceglievano la seconda, rischiando la morte. Quello che si è scoperto solo più tardi è che questa dopamina non provoca tanto piacere, quanto la spinta compulsiva stessa a ottenerlo. In altre parole i ratti, più che cercare piacere, si sarebbero sentiti ansiosi se non avessero stimolato la leva. Perché la dopamina caratterizza proprio l’attesa di una ricompensa, indipendentemente dal suo effettivo arrivo. La prova con le scimmie: mostrate a una scimmia uno schermo verde e datele cibo, mostratele uno schermo rosso e non dateglielo. Ogni volta che vedrà lo schermo verde il suo cervello verrà inondato di dopamina, indipendentemente che poi riceva cibo o meno. E il picco di dopamina, raggiunto nell’attesa della ricompensa, non aumenta con l’arrivo della ricompensa stessa. E’ lo stesso piacere suicida che elettrizza il giocatore d’azzardo nei secondi che passano tra il premere i pulsanti della slot e aspettare che questa si fermi su una sequenza potenzialmente vincitrice.
NON RIESCO A FARNE A MENO
Sharon Begley
Feltrinelli, 285 pp., 16 euro