Sapienza alienata
Giuseppe Veltri
Aracne, 328 pp., 18 euro
Il vampiro succhiatore di sangue è un tema ricorrente dell’immaginario antisemita. E’ una chiara allusione all’ebreo che sfrutta il popolo in mezzo al quale vive e lo priva progressivamente del suo sangue, cioè della forza vitale. L’allusione all’accusa del sangue non è nemmeno così lontana: l’ebreo usa il sangue cristiano per adempiere i propri riti religiosi. Ma se è vero che il sangue rimanda a uno svuotamento “biologico”, a livello “socio-culturale” è lecito parlare di “alienazione”. Invece di succhiare il sangue si aliena (aspira) la conoscenza e il patrimonio vivo di una cultura, con l’obiettivo di “superarla”, “inglobarla” e – nel peggiore dei casi – ucciderla. Questo è l’obiettivo del lavoro di Giuseppe Veltri, uno dei principali ebraisti europei, nella raccolta di saggi intitolata Sapienza Alienata. Qui lo studioso calabrese, docente all’Università di Amburgo e direttore del Centro Maimonide, inverte le carte in tavola: non è il vampiro-capitalista ebreo a privare il borghese-operaio cristiano del suo sangue-cultura, ma è l’esatto contrario. E’ la cultura maggioritaria (quella ellenistica, poi quella cristiana) ad aver “succhiato” (alienato) il sangue a quella minoritaria (ebraica).
Il lavoro dell’autore è diviso in tre parti. La prima (Tra mito e alienazione), dedicata all’analisi del rapporto fra cultura ebraica e pensiero greco-romano, cerca di cogliere la formazione di una “sapienza” prettamente ebraica all’interno di un contesto caratterizzato dall’esistenza di una cultura politica preponderante (quella greca) e dall’esigenza da parte della diaspora ebraica di salvare la tradizione avita con l’invenzione della “tradizione”. Un discorso analogo può farsi per il dibattito sull’essenza dell’ebraismo avviato nel mondo riformato e tendente (specie a Venezia) a trovare nell’apologetica ebraica una via per criticare la pericolosa riduzione dell’ebraismo a “farisaismo”.
La seconda parte (Storia di concetti e definizioni) si sposta fra l’età moderna e contemporanea per cercare di capire come, nel contesto tedesco si sia avviato il dibattito circa la liceità di una filosofia e poi teologia propriamente ebraiche. Anche in questo caso, un dibattito apparentemente accademico è il riflesso di un problema culturale più generale, riguardante la difesa e la valorizzazione della propria autorità e tradizione di fronte alle sfide delle aperture ottocentesche (l’equiparazione giuridica postnapoleonica). Una difesa attiva e basata sull’applicazione del metodo scientifico al corpus storico-esegetico dell’ebraismo.
La terza parte (Attitudine scettica) è dedicata al problema dell’esistenza di uno scetticismo squisitamente ebraico e al concetto di alienazione (termine dotato di uno statuto giuridico e filosofico particolare). L’autore cerca di evidenziare il ruolo necessariamente passivo esercitato dalla tradizione ebraica in questo processo di alienazione: riferendosi al caso tedesco, lo studioso calabrese sottolinea il processo di alienazione, spoliazione e “toglimento-privazione” di sé attuato dalla cultura maggioritaria verso quella ebraica. Gli esiti di questo processo apparentemente intellettuale e culturale saranno evidenti quando il “legalitarismo” sarà contrapposto all’amore, il particolarismo all’universalismo, l’astratto intelletto calcolatore al cuore pulsante dell’uomo.
La parte finale indaga il problema estetico della rappresentabilità del divino nel mondo ebraico e dello stretto nesso fra immagine e parola esistente nella tradizione ebraica. La riproduzione del divino nell’immagine dell’uomo è il mezzo per riportare l’uomo alla parola. Dio non è quindi una figura irrappresentabile o bisognosa di un “figlio” (come insegna il cristianesimo), ma è trasposto dalla continua generazione di uomini, loro sì capaci di perpetuare l’immagine di Dio nel mondo.
SAPIENZA ALIENATA
Giuseppe Veltri
Aracne, 328 pp., 18 euro