I bambini di Moshe
Sergio Luzzatto
Einaudi, 393 pp., € 32 euro
Il tema dei bambini e la Shoah è attuale in questi giorni, durante i quali si ricorda la liberazione sovietica del campo di concentramento di Auschwitz. Il riaffiorare degli studi sull’infanzia di questi ultimi anni è sintomatico di come questo tema, precedentemente ignorato o lasciato agli storici della pedagogia, stia assumendo una valenza etico-politica crescente. Sergio Luzzatto ha dedicato il suo ultimo saggio al racconto di un gruppo di bambini ebrei sopravvissuti alla Shoah, che, attraverso la mediazione di uno sconosciuto ebreo galiziano (Moshe Zeiri), giungono in Israele per tentare di rifarsi una vita. Non si tratta di un “canonico” saggio storico, dove lo studioso si concentra su un problema storiografico ben preciso, evidenzia lo stato dell’arte e, facendo interagire l’analisi delle fonti e le diverse interpretazioni presenti (se il caso), tenta di sostenere una tesi ben precisa. Qui l’autore si trasforma in uno storyteller: narra passo dopo passo il suo viaggio alla scoperta della storia dell’orfanotrofio di Selvino (Bergamo) e, utilizzando sapientemente il flashback, ripercorre le dure tappe del percorso di redenzione che porta i piccoli e gracili figli del “ghetto” a trasformarsi nei nuovi “sabra” israeliani, duri fuori e dolci dentro. L’apparato storiografico e le note sono collocate al termine del libro, con l’intento di non appesantire la lettura e “catturare” il lettore nell’intreccio delle vite. Il rapporto fra la diaspora e lo stato di Israele è un tema molto spinoso, specie negli ultimi decenni, caratterizzati da smottamenti epocali in seno all’Europa occidentale (e alle comunità ebraiche). Non ci riferiamo solo al problema delle ondate (“orde” per alcuni) migratorie. Ma anche – e soprattutto – alla ricostruzione di una memoria storica condivisa che, di fronte alla crisi irreversibile dell’antifascismo, sembra intravvedere nella Shoah un punto archimedeo su cui sollevare le sorti di una democrazia incompiuta come quella italiana. Alimentare la pietas nell’innocenza infantile può essere una via. L’esodo dei bambini dalla “cattività” europea sino alla terra promessa, passando dal nord Italia, rievoca il romanzo Se non ora, quando? di Primo Levi (personaggio al quale Luzzatto dedicò alcuni anni or sono un saggio storico molto discusso). Le foto utilizzate dall’autore più che accompagnare il racconto di micro-personaggi della storia novecentesca, danno la sensazione di rappresentare soprattutto un importante tassello di colore melanconico e tragico che accompagna questo viaggio di sradicamento. Se la vita è movimento, le immagini sfocate del passato ricostruiscono il cono della memoria.
La redenzione attraverso la terra (secondo l’ideologia gordoniana) può avvenire solo a contatto con il proprio suolo avito. Terra e redenzione, intelligenza e fucile: se questo è Israele, potremmo chiosare.
I BAMBINI DI MOSHE
Sergio Luzzatto
Einaudi, 393 pp., € 32 euro