L'invenzione del diritto
Paolo Grossi
Laterza, 210 pp., 24 euro
Osservò Von Savigny che “l’intera scienza del diritto non è altro che la storia di esso”: se non si conosce la storia del diritto, è impossibile capire come esso operi. Per questo è particolarmente utile la produzione culturale di Paolo Grossi – tra i più noti e importanti storici del diritto italiano, attuale presidente della Corte costituzionale – che ha il merito indubbio di aver posto all’attenzione del dibattito giuridico, con grande lucidità e insistenza, il tema del rapporto che il diritto ha con lo stato (moderno), nell’ottica di una sua liberazione da asfissianti “legolatrie” statualistiche e di una sua restituzione al proprio referente “naturale”: la società. Su questa scia si colloca L’invenzione del diritto, raccolta di diversi interventi e saggi che Grossi ha tenuto e scritto negli ultimi anni e che si segnala anzitutto per il proprio titolo, che costituisce, già per se stesso, un manifesto culturale. Il diritto non si “crea” per atto del potere costituito, non è “un comando piombante dall’alto sulla società chiamata unicamente all’obbedienza”, come afferma lo stesso autore: esso va “inventato” (nel senso di “scoperto”, dal latino invenio) nella fattualità sociale e economica degli individui in relazione tra di loro. E’ la ripetizione costante di un determinato comportamento, osservato proprio perché ritenuto conforme al “giusto” dai consociati, a costituire una regula iuris: compito della comunità giuridica – nella sua più larga accezione, comprendente quindi giudici, avvocati, notai e accademici – è quello di scoprire, ordinare e applicare questa regola. In questo modo, argomenta Grossi, il diritto può assolvere alla sua funzione di organizzazione della complessità sociale, che si regge sullo scambio reciproco di pretese e poteri tra gli individui (si pensi, in questo senso, anche alla teoria del giurista liberale Bruno Leoni). E’ in questa consapevolezza che si situa il passaggio dalla modernità giuridica (che Grossi fa discendere dall’irrigidimento giacobino dell’illuminismo continentale) a quella che viene definita la “pos-modernità del diritto”: per il nostro storico, tra l’altro, si tratta di un’evoluzione imposta dall’avvento delle cosiddette Carte costituzionali “lunghe”, tra le quali va ricordata quella italiana, che si fondano sull’esaltazione del pluralismo sociale e dell’anteriorità logica e storica della persona umana rispetto allo stato. Si tratta di temi di centrale rilevanza, che pongono riflessioni e quesiti profondi: tocca, dunque, al giurista di Civil law – che però Grossi non esita a definire come spesso “culturalmente pigro” – raccogliere la sfida che gli viene lanciata dalla pos-modernità dei nostri giorni.
L'INVENZIONE DEL DIRITTO
Paolo Grossi
Laterza, 210 pp., 24 euro