La vita segreta

Nicola Baroni

Andrew O’Hagan, Adelphi, 222 pp., 22 euro


Infantile, egocentrico, mangia con le mani, lecca il piatto e se gli si chiede di lavare le stoviglie risponde che ha cose più importanti da fare, tipo cercare di abolire la schiavitù economica in Cina. E’ il Julian Assange descritto da Andrew O’Hagan, per mesi al suo fianco per scriverne la biografia, un libro milionario acquistato dalle case editrici ancora prima che venisse scritto e mai realmente portato a termine. Assange voleva presentarlo personalmente ai festival letterari ma allo stesso tempo faceva di tutto per sabotarlo: non aveva tempo per lavorarci, si giustificava, salvo sprecare ore cercando il proprio nome su Google, ossessionato da quello che i giornalisti scrivevano di lui. “L’uomo che si era fatto carico di rivelare i segreti del mondo – conclude O’Hagan – non riusciva a sopportare i propri”, ma allo stesso tempo era diventato un personaggio letterario: “Ne stavo già facendo un prodotto della mia immaginazione e quello, forse, era tutto ciò che Julian avrebbe mai potuto essere per me”.

   

Dall’altra parte c’è Craig Wright, altro personaggio che O’Hagan avrebbe dovuto biografare in quanto supposto Satoshi Nakamoto, inventore dei bitcoin. In condizioni di difficoltà economiche, l’hacker australiano aveva accettato di vendersi a una società privata e svelarsi al mondo, dovendo però mostrare le prove ne fornì di lacunose e false: “Non aveva mai voluto uscire allo scoperto, e, quando fu il momento, cannò il suo stesso test di paternità”.

  

O’Hagan dovrebbe redigere la cronaca di due esistenze fuori dall’ordinario ma si trova di fronte due personaggi romanzeschi. Doveva cercare la verità ma aveva la sensazione che “le pareti della realtà virtuale premessero da ogni lato sul taccuino”. Realtà virtuale, ecco il punto. Quella realtà con cui la letteratura, assopita sugli schemi novecenteschi, non ha ancora fatto i conti. L’èra digitale sembra poter riguardare la letteratura solo attraverso ebook, ipertesti e analoghe irrilevanti rivoluzioni. O’Hagan dimostra che è il “nuovo realismo”, nell’èra digitale, a essere saltato, ancora una volta, come sempre accade al termine di ogni suo ciclico ritorno: la cronaca stessa è diventata il varco verso surrealismi prima impensabili e smarrimenti pirandelliani amplificati dalla realtà virtuale. “Satoshi è nato da relazioni fondate sulla dissimulazione”, cioè, in termini novecenteschi, non è nessuno, “e se la vera identità di Satoshi, in ossequio al postmodernismo imperante, non potesse mai essere definitivamente accertata?”. Continuerebbe a vivere nelle centomila o più identità che faranno propria la tecnologia delle criptovalute e della blockchain.

  

Craig era “un ammasso di paranoie radicate nelle fondamenta stesse della sua vita. La sua esistenza online lo aveva svuotato completamente, e lui non era più certo di avere un’identità”, e analogamente Assange “non sapeva chi essere… aveva un io troppo grande e, allo stesso tempo, non ne aveva nessuno”. Entrambi a loro agio solo nelle connessioni fluide e anonime del web, ma in difficoltà di fronte alla richiesta di raccontarsi nero su bianco in una biografia, in un libro, nei termini di un’identità fissa. Dire che il medium è il messaggio è poco: il medium ha assorbito le identità, al punto che Assange e Wright recalcitrano e mettono in atto ogni meccanismo di difesa psicologica pur di sottrarsi alla gabbia di un’identità unica, che se ancora posseggono potrebbe assumere solo le forme di crittogrammi o stringhe alfanumeriche. Le loro ossessioni e idiosincrasie sembrano le uniche ancore di salvezza che, tra le loro centomila e passa identità virtuali, ancora li caratterizza individualmente.

   

  
La vita segreta
Andrew O’Hagan
Adelphi, 222 pp., 22 euro

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