Quando il crimine è sublime
Oriana Binik
Mimesis, 350 pp., 20,40 euro
La cultura popolare ha preso ormai il sopravvento nella moderna società di massa, anche se molti faticano a inquadrarla. Niente lo certifica al meglio che la fascinazione estatico-estetica per la violenza. Il lavoro di Oriana Binik descrive il fenomeno sociale e culturale del crimine. Il termine deriva dal verbo latino cernere, che slitta semanticamente da decidere a scegliere e, infine, a giudicare. Strettamente legato al crimine è il termine sacro, che deriva a sua volta da sacer, cioè separare. Tutto il saggio cerca di delimitare accuratamente il recinto del “bene” (cioè della “comunità”) attraverso l’evoluzione del sentimento che l’uomo contemporaneo nutre di fronte al “male”. Partendo dall’esame del sublime (la fascinazione per l’incommensurabile dell’estetica pre e post romantica), l’autore ripercorre la storia degli ultimi due secoli, sino a giungere alla spettacolarizzazione della violenza. Il testo è suddiviso in sette capitoli. Dichiarandosi per una “cultural criminology delle emozioni” (un approccio foucaltiano-gramsciano volto a studiare il legame fra cultura e potere), l’autore esordisce con un capitolo storico-teorico dedicato all’analisi del sentimento del sublime. In seguito, abbandona il piano estetico-filosofico per spostarsi sulle interpretazioni psicologiche e antropologiche novecentesche (in particolare, il problema dei “sacri” nell’opera di Bataille). Dopo essersi concentrata sullo statuto epistemologico delle emozioni nella criminologia culturale, Oriana Binik scende sul piano popolare attraverso il case study di “Quarto Grado”. Il programma televisivo serve a introdurre il fenomeno più generale del dark tourism (turismo dell’orrido) e il problema del mercato dei murderabilia (la collezione di oggetti legati o appartenuti a famosi criminali). Il lavoro della Binik, che chiude la sua disamina soffermandosi sull’interazione “elastica” tra cultura e struttura, ha il pregio di spiegare l’appropriazione “carnevalesca” del crimine da parte della cultura popolare. Come ogni forma di appropriazione popolare, il crimine ha una valenza più estetica che etica, più espressiva che deontologica. Cercare di tradurre i sentimenti popolari in categorie stagne oppure cercare di indirizzarli verso forme espressive più o meno maldestre può apparire un progetto ambizioso, ma dall’efficacia assai discutibile. Aleggia in tutto il saggio lo spettro post gramsciano di disegnare una nuova modalità culturale egemonica che sfugga alla netta separazione “sinistra” tra giusto e sbagliato, fra sacro e profano. Ma il criminale, questo capro espiatorio che va sacrificato sull’altare della società massificata carnevalesca, è veramente la trasfigurazione dei sensi di colpa “umani”?
QUANDO IL CRIMINE E' SUBLIME
Oriana Binik
Mimesis, 350 pp., 20,40 euro