I difensori della libertà

Federico Morganti

Luciano Pellicani
Rubbettino, 134 pp., 13 euro

Non c’è teoria politica che possa prescindere da una qualche accezione del concetto di libertà. Ma quanti colori ha la libertà? Dopo essersi soffermato sui “cattivi maestri della sinistra” e sui mali della pianificazione e del collettivismo, Luciano Pellicani passa dall’altra parte della barricata, ai “difensori della libertà” che ha conosciuto il secolo scorso. La selezione non è priva di sorprese: personaggi come Croce o Simone Weil farebbero fatica, in altri testi, a trovare collocazione. Ma la loro presenza ha, qui, perfettamente senso. Quali fili conduttori possiamo far emergere tra autori così diversi come Croce, Ferrero, Ortega y Gasset, Weil, Aron, Hayek, Bobbio e Sartori? Due, parrebbe. Il primo è il tentativo di sganciare parzialmente il concetto di libertà dalla proprietà privata e dall’iniziativa economica. Se da un lato i mali della pianificazione e del collettivismo sono evidenti a chiunque abbia occhi per vederli, dall’altro Pellicani diffida dell’idea che il mercato sia in grado di “autoregolarsi”, come vogliono i suoi fautori da Smith alla Scuola Austriaca. Il bisogno di solidarietà, scrive Pellicani in polemica con Hayek, non può essere liquidato come mero tribalismo: nessun gruppo può sussistere in assenza di scopi comuni. Una visione monadistica della società che è però più facile scorgere nei testi dei suoi detrattori che in quelli di Hayek. Non è in discussione la necessità di fini comuni, bensì chi sia legittimato a stabilirli: se uno stato pianificatore o la libera associazione tra i cittadini.

Il secondo elemento ricorrente nelle pagine del libro è la forte diffidenza nei confronti della rivoluzione quale adeguato strumento per realizzare il cambiamento sociale. Dall’analisi della Rivoluzione francese di Guglielmo Ferrero all’approfondimento di Simone Weil sulla natura illusoria della rivoluzione – da Pellicani rivolto contro Marx – il punto è sempre uno: la rivoluzione – “l’oppio degli intellettuali” di Aron – è un momento puramente negativo, distruttivo, per sua natura incapace di retrocedere a una condizione di non-violenza. Il socialismo rivoluzionario, scrisse Bobbio, è irraggiungibile per via democratica, ma se raggiunto per altra via “non riesce a trovare il passaggio da un regime di dittatura a un regime di democrazia”. E così i rivoluzionari si cullano nel mito del rovesciamento dell’ordine esistente e della “demiurgica creazione [...] di un Mondo Nuovo”. Ma la storia ha mostrato a sufficienza che nessun cambiamento reale e duraturo è possibile se non attraverso la graduale modificazione delle istituzioni, grazie agli strumenti, ancorché imperfetti, messi a disposizione dalle democrazie liberali.

 

I DIFENSORI DELLA LIBERTÀ
Luciano Pellicani
Rubbettino, 134 pp., 13 euro

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