Se fosse un film, il libro di Balzano sarebbe neorealista senza tentazioni liriche (avercene)
Il primo dei finalisti del Premio Strega alla prova del 69
Grande è la delusione di chi si accinge alla prova di pagina 69 – il carotaggio letterario suggerito a suo tempo da Marshall McLuhan – e trova mezza pagina bianca, siamo a fine di capitolo. Succede con “Resto qui” di Marco Balzano, targato Einaudi e primo in ordine alfabetico (vogliano scusarci le scrittrici candidate, quest’anno allo Strega in netta maggioranza: Helena Janeczek, Lia Levi, Sandra Petrignani che raddoppia: “La corsara” racconta Natalia Ginzburg). Ford Madox Ford suggerisce di andare a pagina 99, altro numero scelto perché abbastanza lontano dall’inizio. Il sociologo e il romanziere dagli irresistibili incipit (“Questa è la storia più triste che abbia mai sentito”, così comincia “Il buon soldato”) erano convinti che lo scrittore andasse giudicato nei momenti di stanca. Quando non ha più fiato, si distrae, smette di tenere indietro la pancia per sembrare più magro.
Con la pagina 99 – in tutto sono 180, grazie per la misura – inizia il capitolo 11. Il nome Erich, un maso da raggiungere, la domanda “come sapremo a che punto è la guerra” rimandano all’Alto Adige, o Sud Tirolo. Più avanti si parla della Svizzera, terra promessa per salvare la pelle dopo la diserzione. Il resto è fame, e la fatica per trovare qualcosa da mangiare: “La carne sotto sale finì. Finì la polenta, finirono le gallette. Finì il formaggio, finirono i biscotti”. Miseria nera, la festa grande è riuscire ad acchiappare una marmotta per arrostirla (astenersi animalisti, e anime belle convinte che il problema della cena si risolva ordinando cinese o thailandese con Foodora o Deliveroo). E poi spolparla “fino a sbiancare gli ossi”.
Aggettivi, scarsi. Sempre un buon segno. Vuol dire che uno scrittore ha una storia da raccontare, non cerca nel dizionario le parole difficili per impressionare. Collocazione geografico-letteraria: siamo dalle parti di Mario Rigoni Stern. Al Premio Strega porta bene, come sa Paolo Cognetti, vincitore l’anno scorso con “Le otto montagne”. L’uomo va a caccia, la donna – e voce narrante – segue il greto di un fiume: “Pensavo come un’illusa di trovare dei pesci e a malapena riuscii a riempire la borraccia di schegge di ghiaccio”.
Marco Balzano ha 40 anni, nel 2015 ha vinto il Campiello con “L’ultimo arrivato”. Per i non addetti ai lavori: un premio considerato “non manovrabile” per via della giuria popolare che si affianca alla giuria tecnica, o giuria dei letterati; evidentemente considerati – come diceva Paolo Poli nel suo spettacolo su santa Rita da Cascia – “di animo dirigibile” (lo Strega è più manovrabile, anche se quest’anno per la verità manca il vincitore annunciato con mesi d’anticipo). “Resto qui” mostra in copertina un campanile che spunta da un lago artificiale, opera pubblica controversa che assieme alla guerra e alla diserzione regge la trama.
Resta comunque la pagina 69, per controprova. Gli aggettivi sono sempre scarsi, ancora più rari che a pagina 99. Altra scena di guerra: il sabato arrivano le donne a farsi leggere le lettere spedite dai mariti al fronte. O quel che ne resta, dopo che la censura ha cancellato quasi tutto. E allora la lettrice lavora di fantasia: il rancio è decente, i combattimenti sono rari, avanza spazio per aggiungere qualche frase d’amore, con gran soddisfazione delle mogli. “Il fronte me l’ha reso romantico”, dice una di loro, senza sospettare l’inganno (o forse sì, ma che importa?). Se fosse un film, per “Resto qui” di Marco Balzano potremmo parlare di neorealismo senza tentazioni liriche – in queste pagine, almeno, ma così va il gioco. Tra tanta autofiction, qualcuno ancora crede al romanzo, facendo ricerche e inventando personaggi.