L'estremo sacrificio e la violenza
Francesco Germinario
Asterios, 543 pp., 39 euro
L’ultimo ponderoso lavoro di Francesco Germinario (L’estremo sacrificio e la violenza. Il mito politico della morte nella destra rivoluzionaria del Novecento, edito da Asterios) tenta di sintetizzare gli esiti storiografici più maturi sulla genesi del pensiero nazionalrivoluzionario novecentesco (si pensi a George L. Mosse e al nostro Emilio Gentile), concentrandosi sul tema politico della morte. Lo studioso pugliese, interessato da sempre alla formazione dell’estremismo politico e al precipitato della violenza, individua come termine di partenza la Rivoluzione francese (cioè gli esiti politici dell’Illuminismo) e il dibattito in seno al pensiero conservatore.
La scelta cronologica è rilevante nell’intera economia del saggio: la tesi, infatti, è che il mito politico della morte non sarebbe altro che l’esito disperato e attivistico di fronte alla soverchiante ragione sperimentale illuministica (edonismo borghese, taglio netto con qualsiasi dimensione trascendente). Da questo punto di vista, Germinario non è particolarmente originale. Più interessante è, invece, la scelta degli autori e le modalità con cui è stato sviscerato il tema della morte.
La prima parte del volume è dedicata alle origini del mito politico da De Maistre sino a Barrès, passando da Donoso Cortés e Gobineau: mentre i pensatori cristiani tentano di ridimensionare la ragione illuministica enfatizzando la finitezza umana, gli sradicati à la Barrès puntano piuttosto all’esigenza del ricordo, alla ricostruzione di un legame con la propria comunità di destino. La seconda parte si colloca dopo la Prima guerra mondiale e lo fa attraverso tre personaggi: Jünger, Spengler e Solomon. Lo spartiacque della guerra ha contribuito a elaborare il concetto tragico di “destino”, tinto di venature ermetiche, pessimistiche e nichilistiche: l’oblio della morte ha tolto ogni senso dalla vita.
La terza parte ci porta nell’Italia fascista, in particolare nello squadrismo, che l’autore analizza ricorrendo ai testi delle canzoni e al rito funerario. Questa sezione, che contiene intuizioni psicosociali sul rapporto fra nazione e virilità, mette in mostra la discontinuità con i coevi autori germanici: l’ottimismo della gioventù fascista è legato al primato dell’azione quale base di partenza per il dominio del futuro.
La quarta parte è dedicata alla Legione dell’Arcangelo Michele, formazione nazionalrivoluzionaria romena guidata da Codreanu, che declina in termini mistico-religiosi il tema della morte.
Il quadro della destra nazionalrivoluzionaria si chiude con la vigilia della Seconda guerra mondiale. Dopo la guerra è un’altra storia, forse. Usiamo appositamente quest’avverbio perché non riteniamo affatto che il discorso possa dirsi concluso. Il paradosso più volte sottolineato da Germinario – e che ci sembra forse l’intuizione più perspicace – consiste nell’enfatizzare come la necrofilia, il tanatocentrismo ecc. non vadano letti come mere forme di nichilismo autodistruttivo, ma piuttosto quale l’unica modalità in grado di restituire senso, continuità e individualità all’uomo moderno.
Se non c’è amore senza morte, non c’è nemmeno una vita degna di essere vissuta che non si confronti con la propria fine e il proprio fine. Forse questo ci permette di capire l’appeal di certe forme di “terrore” fra i giovani, derubricate spesso come espressioni di menti alienate, deviate, dissociate, emarginate.
L'ESTREMO SACRIFICIO E LA VIOLENZA
Francesco Germinario
Asterios, 543 pp., 39 euro