Il tramonto dell'occidente

Vincenzo Pinto

Oswald Spengler, Nino Aragno, 677 pp., 40 euro

Esattamente un secolo fa usciva presso l’editore viennese Braumüller il primo volume di un’opera destinata a fare epoca: Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler. Nino Aragno, editore torinese noto per la sua saggistica di alta qualità, ha deciso di pubblicare una nuova edizione della monumentale opera spengleriana, a cura di Giuseppe Raciti. Docente di Filosofia teoretica presso l’Università di Catania, ma anche prolifico curatore dal tedesco, Raciti ha ritradotto interamente il testo. Nella breve nota introduttiva, il traduttore isola i tre motivi concettuali centrali – a suo avviso – del volume: il motivo “magico” (cioè le radici “arabe” della religione cristiana), il rapporto tra anima “faustiana” e anima “apollinea”, e il problema del socialismo prussiano (una sorta di cura culturale della “civilizzazione”). Non ci troviamo di fronte a un’edizione critica, e i motivi (forse  ovvi) li spiegheremo in seguito. Il primo volume del Tramonto s’intitola “Forma e realtà” ed è diviso in sei capitoli. La lunga introduzione presenta l’opera partendo dalla fine: “L’analisi della civiltà  euroccidentale che oggi si estende a tutto il globo”. Il  lavoro è diviso in due parti: “Forma ed effettualità” e “Prospettive di storia universale”. La prima sezione (qui pubblicata) “parte dal linguaggio figurale delle grandi civiltà e cerca di spingersi fino alla radice ultima della loro origine, attingendo in tal modo i fondamenti di una simbolica”(p. 99). Il primo capitolo indaga il “senso dei numeri”, differente fra l’anima apollinea e  quella faustiana (sensibilità da una parte, relazione dall’altra). Il tema della misurabilità del reale è legato alla storia universale in chiave morfologica, che porta l’autore a concentrarsi sulla dicotomia forse centrale di tutta l’opera: quella fra destino e causalità. Una volta individuato il discrimine della mente storica, l’autore affronta il problema dello spazio declinato in base alle tre anime: l’apollinea, la faustiana e la magica. Dallo spazio si passa alla morfologia delle arti (il nesso fra musica e plastica), che preparano un’accurata descrizione del sentimento (forma) della vita. Il capitolo finale verte sulla diversa conoscenza della natura fra anima apollinea e faustiana. E’ assai impervio, se non impossibile, dar conto della ricchezza di linguaggio, di temi e di suggestioni che pervadono l’opera di Spengler, che può forse considerarsi l’opera storica più importante del secolo passato. Curare criticamente un testo del genere – come ha ammesso umilmente Raciti – significa padroneggiare non una sola, ma molte discipline non proprio contigue: matematica, fisica, biologia, filosofia, storia, filologia. Un sapere universalistico che  richiederebbe un “Aristotele” della storia, figura difficilmente individuabile nella “faustiana” tendenza alla parcellizzazione del sapere. Ma accettiamo la sfida e vediamo quantomeno di sviscerare i temi più importanti della prima parte del Tramonto. Spengler è interessato soprattutto a fornire i fondamentali, vale a dire a spiegare che cosa significhi fare morfostoria e perché sia lecito parlare di forme e realtà effettive. Lo fa soprattutto confrontando l’anima apollinea con quella faustiana, cioè la  classicità antica con la civiltà europea, individuando in Kant e nella sua gnoseologia illuministica il vero convitato di pietra  dell’anima faustiana. Tutto è riconducibile a una diversa interpretazione dello spazio e del tempo, cioè a una diversa collocazione mondana, cosmica e simbolica della storia umana. Ma non basta misurare lo spazio e il tempo in un certo modo. Bisogna anche sentire e guardare le sue forme. L’apparenza ci trasmette il significato recondito della morfo-storia. Partito dal numero “apollineo”, Spengler quadra il cerchio con la teoria degli insiemi, con il numero puro “faustiano”, cioè con la fine del mistero, cioè con lo scetticismo. 

 

IL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE
Oswald Spengler
Nino Aragno, 677 pp., 40 euro

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