Novantanove noi
Le parole tra noi leggere: il catalogo per vivere è questo, grazie ad Andrea Marcolongo
Tutti noi siamo portati a interpretare la realtà che ci circonda, attribuendole emozioni, desideri, scopi, persino biografie. Se qualcosa intorno a noi si muove, e ci smuove, abbiamo subito bisogno di mettere ordine in ciò che proviamo, di dare un senso al caos. Si inizia sempre con le parole ed è grazie al loro potere che trasformiamo la vita in narrazioni che ci fanno sentire un poco più al sicuro e un poco meno spersi.
“Raccontami una storia” è da sempre il primo istinto, il primo bisogno degli esseri umani per vincere la paura dell’ignoto, dei fantasmi, della morte, del buio: non chiedono forse storie i bambini prima di addormentarsi, prima che un genitore spenga la luce? Non sono forse loro poi, i primi a ripetere le sillabe cadendo in facili errori e storpiature bizzarre che nessuno vorrebbe mai dimenticare e il tutto per imparare a nominare ciò che sta loro intorno? E’ un invito a riflettere, a informarsi e a migliorarsi quello di Andrea Marcolongo, classe 1987, una laurea in Lettere classiche, due libri tradotti in 27 lingue (La lingua Geniale. Nove Ragioni per amare il greco, Laterza 2016; La misura eroica, Mondadori 2018) e un terzo, Alla fonte delle parole: 99 etimologie che ci parlano di noi, appena uscito per Mondadori. “Senza le parole”, scrive, “siamo elisi dalla realtà”. Siamo vivi eppure assenti, dei veri e propri fossili, tracce senza più consapevolezza di ciò che siamo. “Senza parole siamo la solitudine”, continua una delle più giovani traduttrici italiane dal greco, visiting professor presso l’Universidad de Los Andes di Bogotà e l’Unam di Città del Messico, già finalista in Francia al Prix des Lecteurs. “E’ per questo che delle stesse bisognerebbe averne cura, perché ogni volta che le pronunciamo, diventano il nostro riflesso rivelando ciò che siamo”.
In pratica, sono come un giardino, ricorda Andrea Marcolongo citando il libro (Dans le jardin des mots) che ha amato di più della sua guida, Jacqueline de Romilly, professoressa di Greco antico a l’École normale supérieure di Parigi e alla Sorbona e prima donna ammessa al Collège de France, che nel 1988 raccolse appunti e scritti di una vita intera trascorsa a inseguire le etimologie. “Nel suo giardino le parole fioriscono non tanto come profumati oleandri, scrive la Marcolongo, ma come bizzarre, bellissime farfalle da osservare con delicatezza quando, per caso o per gioco, si posano sulle nostre mani, ogni giorno”. Di parole lei, invece, ne ha scelte 99 ricostruendone quello che chiama “il viaggio”, ovvero ciò che le ha portate a essere quello che sono, il significato che incarnano oggi, ricostruendo così anche la nostra storia. Quelle etimologie ci parlano di noi, come suggerisce il sottotitolo di questo libro che non ha nulla a che vedere con un dizionario né con un manuale accademico.
Quegli etimi – dall’aggettivo greco ἔτυμος (étymos), che significa “vero”, “reale”, “genuino” – sono le sue parole del cuore, quelle che l’hanno segnata, fatta confondere, crescere, appassionare e sicuramente cambiare. Etimologia, spiega, “significa militanza e insieme resistenza agli incidenti della vita e alle sbavature del mondo”. Abbiamo pertanto bisogno di un grande coraggio, di schiettezza e di un rivoluzionario patto di lealtà verso il reale quando teniamo tra le mani gli etimi, “perché non sono fragili, ma solidi e indelebili nella loro viva presenza nelle parole che usiamo ogni giorno”. Quelle etimologie, ci costringono a rivelarci, a capirci, a spogliarci di mille scuse e a essere, a nostra volta, “etimi delle nostre vite”, uomini e donne reali, autentici, fedeli e combattivi. “Tutti paghiamo un dazio per ciò che ci siamo concessi di diventare grazie alle nostre parole”, aggiunge, e il dazio “non è altro che la vita che conduciamo”. Tra quelle parole troverete anche “bizzarro” – che non vuol dire stravagante, strano o folle, ma tutt’altro (starà a voi scoprirlo) – e scoprirete cosa vuol dire davvero “leggere”, “tradire”, “mongolfiera”, “bacio” e “farfalla”, una delle più belle, o “poesia”, la prima da lei studiata grazie a un sms di un amico.
Sembrano tante, ma in realtà, quando arriverete all’ultima pagina, vi sembreranno pochissime e dopo aver scelto la vostra o le vostre preferite, avrete voglia di scoprirne altre ancora, perché le parole raccontano sempre e zittirle, prima che impossibile, è sbagliato. Suscitano stupore, meraviglia e sorpresa e per apprezzarle al meglio occorre la delicatezza che non dovremmo mai abbandonare, o che dovremmo riconquistare. Nominare in maniera corretta le cose è un modo per tentare di diminuire la sofferenza e il disordine che ci sono nel mondo, diceva Camus, ricordando, aggiunge la Marcolongo, che siamo preziosi, soprattutto quando siamo davvero noi, cioè liberi dai nostri involucri. Basta non dimenticarlo.