La grazia dei re
Recensione del libro di Ken Liu edito da Mondadori (602 pp., 24 euro)
Spesso si cerca di descrivere una novità artistica, e al contempo il rapporto con la tradizione che la precede, quasi questa fosse la riedizione singolare e suggestiva di un’opera nota, ma firmata stavolta da un autore diverso o secondo una prospettiva differente (“Maigret scritto da Kafka… Kramer contro Kramer diretto da Tarkovskij…”); una soluzione talvolta efficace e perfino doverosa per suscitare curiosità ma che rischia di ridurre nuove direzioni creative alle confortevoli regioni del già saputo. Nel caso di Ken Liu la faccenda è più complessa, dal momento che lo scrittore sino-americano è davvero un ponte tra continenti immaginativi; traduttore dell’ammirata fantascienza di Liu Cixin, ha vinto l’Hugo e il Nebula, ispirato episodi della serie Netflix “Love, Death and Robots” e scritto un romanzo della fitta galassia di “Star Wars”. Nel suo caso, quindi, azzardare che il primo volume di questa vasta saga fantasy (per cui è stato coniato il termine silkpunk, dal momento che comprende aeronavi, macchinari di bamboo e seta e aquiloni da guerra) ambisca a fondere l’epica occidentale di Tolkien col “Romanzo dei Tre Regni” composto nella Cina del XIV secolo, costituisce un’interpretazione calzante. Lo stesso Liu ha esplicitamente citato l’Iliade e Beowulf tra le sue opere di riferimento (ha persino affermato che il miglior scrittore per una rissa sarebbe Catullo, perché poi ci si potrebbe andare a bere assieme, e i Romani sapevano come spassarsela). Se per il Martin di Game of Thrones la fonte d’ispirazione storica è stata anzitutto la Guerra delle Due Rose, Liu invece si rifà ai passaggi dinastici della disputa Chu-Han del 200 a. C. per raccontare la rivolta contro le mire espansionistiche di un Impero che ha fagocitato i regni di un arcipelago, una guerra capeggiata da due uomini antitetici e complementari, un ricco fannullone e l’erede severo d’un casato umiliato. Intorno a loro si anima e vortica un mondo rigido eppure tumultuoso, davvero ben reso nella bella traduzione di Andrea Cassini, fatto di notabili, militari, cortigiane, scandito da infinite gradazioni gerarchiche (espresse persino dalle posture e dei gesti) e percorso dal vento elusivo degli dèi, che complottano e spettegolano come scacchisti intriganti: “- Tale è il pericolo di manovrare i mortali.
- Non fare la parte dell’innocente, vecchio furbone di una tartaruga. Stavi tramando questa mossa da anni. Mi stavo chiedendo quando il tuo uomo si sarebbe messo in movimento.
- Quando vuoi catturare un grande pesce, devi dare molta lenza”.
Un romanzo dal respiro vasto, solenne, dall’andatura tutta sua, con un suggestivo e inconsueto uso dei balzi temporali, nel quale si dispiega l’antica perenne verità per cui “il potere odia il vuoto”, nella vita collettiva e nel segreto del singolo, senza tollerare spazi neutri o riserve, come un’inondazione innescata da gesti persino piccoli e casuali, ma capace comunque di trasformarci in qualcosa che non avremmo mai sospettato di diventare. Forse.
La grazia dei re
Ken Liu
Mondadori, 602 pp., 24 euro