foto LaPresse

Melania, la first lady che ha avuto esattamente ciò che voleva

Simonetta Sciandivasci

Due libri raccontano il distacco di Flotus dalla presidenza del marito e le guerre per mantenere lo status quo. Attenti alle Louboutin

Prima i vestiti, poi le parole. Per Melania Trump vale più che per qualsiasi altra first lady, perché è un’ex modella (lo ha sottolineato, con lode in filigrana, Vanessa Friedman sul New York Times), perché parla poco e come tutti i laconici, silenziosi o silenziati che siano, ha un fiuto eccezionale per il simbolico. Alla convention repubblicana, martedì, ci è andata in tenuta militaresca, con un abito verde tascapane, stretto in vita da una cinta larga con i bottoni di ottone e le Loubotin del medesimo colore. Niente maniche a campana e colori pastello, niente sbuffi. Non una virgola di Jacqueline Kennedy, della quale ha tolto ogni traccia dal giardino delle rose, riprogettandolo completamente (Mia Farrow non ha mancato di far notare su Twitter che mentre lei si diletta in cancel gardening, gli americani non hanno di che mangiare). Non una virgola di Michelle Obama, dalla quale ne aveva copiate fin troppe nel 2016, quando fu beccata a scopiazzare da un suo discorso del 2008 per lo speech di Cleveland.

     

Il vestito di martedì era una divisa, sembrava uscito da un armadio di Jovanka Broz, l’ultima signora Tito, donna fantastica.

La Flotus non era alla convention né per distendere i toni, né per fare da contraltare. Certo, ha detto che non avrebbe attaccato i democratici per non dividere il paese, che suo marito “sa fare le cose” e vuole tenere gli americani al sicuro. Ma è stata anche l’unica degli oratori repubblicani a parlare al cuore dell’elettorato americano, la prima a dire loro che sa quanto sono smarriti ma non devono per questo sentirsi soli, e lo ha fatto per la stessa ragione per cui, in questi mesi, mentre suo marito si faceva filmare senza mascherina, lei la indossava sempre, ligissima, come fosse la sua nuova faccia: voleva rendere chiaro che se il cialtrone sottovaluta e svilisce, lei fa l’opposto. E infatti non ha mai parlato di “virus cinese” ma di Covid-19, così ha inorgoglito alcuni conservatori, ma soprattutto ha confermato a certi democratici, quelli del “Free Melania”, che lei con suo marito c’entra poco. I suoi odiatori, soprattutto intellettuali e hollywoodiani, hanno invece sottolineato che è stata gelida, insincera. Bette Midler ha scritto su Twitter che mentre parlava Melania ha spento il condizionatore.

  

Ma non è contro i suoi detrattori che Mrs Trump è in guerra.

A casa Trump c’è un conflitto familiare rispetto al quale quello di Kellyanne Conway è una puntata dei Simpson (ricorderete che domenica, dicendo di volersi dedicare ai suoi familiari che in verità la disprezzano perché lavora per il demonio, s’è dimessa Kellyanne Conway, fidatissima consigliera di Trump, una che è riuscita a difenderlo anche quando, durante la campagna del 2016, il Washington Post tirò fuori il video del suo presidente che diceva che le signore andavano prese by the pussy).

   

A giugno Mary Jordan ha pubblicato “The Art of her deal”, se n’è parlato molto, ne è venuta fuori una Melania tutt’altro che radiocomandata o intrappolata in un ruolo che le sta stretto: sin da subito, sapeva perfettamente a cosa sarebbe andata incontro e lo ha fortemente voluto perché sapeva come gestirlo.

    

Non è difficilissimo immaginare che la realtà sia questa: una Melania ingombrante in casa, nella casa presidenziale, corrobora anche la tesi di chi dice che Ivanka la odia e cerca di sabotarla in tutti i modi. A settembre uscirà un libro anche su questo, “Melanie & Me”, lo ha scritto la ex migliore amica della First Lady, Stephanie Winston Wolkoff, alla quale lei era solita raccontare come la trattavano “quei serpenti” dei Trump e come Ivanka soprattutto abbia fatto di tutto, compreso manomettere eventi, sedute, fondi per la beneficenza, inviti alla Casa Bianca, per metterla in cattiva luce, emarginarla e levarla di mezzo, sebbene lei sia stata, dall’inizio della presidenza del marito se non evanescente, chiaramente distaccata. Distante. Subalterna, tuttavia, mai. Mai davvero, nemmeno quando è sembrato, nemmeno quando è venuta a Roma e ha visitato la Cappella Sistina con un velo di pizzo nero in testa.

      

Melania è in guerra per sé, per tenersi il suo posto, per rimanere l’acquisita della famiglia, mantenere lo status quo, e fare comunque il suo dovere e, lateralmente, il bene del prossimo, che se avrà talento (lo ha) le tornerà indietro in forma di indulgenza, la stessa di cui Ivanka è ghiotta (entrambe pagano il fio di essere le donne del demonio). In pochi si sono accorti, ha sottolineato Sarcina sul Corriere, che nel vituperato giardino delle rose che Melania ha ridisegnato c’è l’accesso per i disabili. Tutto quello che oggi resta sottotraccia, di questa signora insondabile, un giorno sarà una cartina al tornasole. Ci accorgeremo in ritardo, forse, che in Louboutin la signora ha messo le bombe.

Di più su questi argomenti: