Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Ecco 86 miliardi per la Grecia. Ripresa economica: bad bank, good idea
Titoli. Questa l’ho già sentita, devo solo ricordare quando. Primo caffè, Corriere della Sera: “Migranti, sfida Vescovi-Lega”. Il segretario della Cei che risponde a Salvini è la cifra del dibattito. Privo del ruspante umorismo – ora ricordo – dell’Umberto Bossi che nel settembre del 2002 se la prese con i “Vescovoni” che criticavano la legge sull’immigrazione. Sono passati 13 anni, siamo sempre là, con le facce diverse, i caratteri sul palcoscenico sempre più minori e le lancette ferme. Repubblica mette il bollo sulla faccenda: “Immigrazione, la battaglia tra vescovi e Lega”. Andiamo avanti, fra tredici anni ne riparliamo. Attenzione, su Repubblica c’è una lettera di Giorgio Napolitano al Fondatore. Segnale decisivo di “amicizia” (si mormorava di un litigio tra Giorgio e l’Eugenio), una prova per il Giornale che ieri si chiedeva “chi comanda al Quirinale” e una conferma del fatto che l’osso più duro per la minoranza del Pd sulle riforme non sarà Matteo Renzi ma l’ex presidente della Repubblica. Sintesi dell’epistola? Eugenio, riforma Renzi è fine della democrazia? Ma di che parli? Leggi qui cosa sosteneva il tuo amico Leopoldo Elia. E che vuoi che mi importi di Renzi? Io la penso così da molto tempo, prima che il fiorentino arrivasse tra noi. Ah, Eugenio, non farti dominare anche tu dalla “paura dei pericoli” (Gramsci) e stai tranquillo, io non (ri)prendo il posto di Mattarella. Sistemato Scalfari al suo nobile posto, passo alle notizie dall’estero. Eccolo, il giornale più venduto a Washington (stanno controllando anche i dati sulla diffusione a Baltimora), La Stampa di Torino: grande foto e titolo sullo “stato d’emergenza a Ferguson”. Fila alle edicole a Cuneo. Libero e Il Giornale vanno in tandem sui pentastellati catodici. “Beppe in Rai, il voto di scambio di Freccero” (Il Giornale), “Freccero paga la cambiale, Grillo in Rai”. Notizie fuori dal canovaccio? Una la intercetto al volo su MF: “Per Berlino la Grecia è un affare”. Si tratta di uno studio sulla Germania, la crisi ellenica e l’effetto (positivo) sul bund. Altro? Sul Sole 24Ore c’è un’ottima inchiesta sulla manifattura italiana: “A tirare la crescita sono i campioni del Made in Italy”. C’è chi fa. E c’è chi disfa. Buona giornata.
Bad bank, good idea. Una ricerca di Oxford Economics spiega perché la creazione di una bad bank italiana può essere un passo decisivo per aiutare una ripresa economica dominata dall’incertezza. Questo è il livello dei non performing loans (crediti deteriorati la cui riscossione è incerta) in Italia, osservate il grafico:
La massa è pari a circa 350 miliardi di euro, il 60 per cento rappresenta crediti di difficile riscossione, il 35 per cento è invece il fardello di aziende in difficoltà. L’evoluzione della (cattiva) qualità di questi crediti è impressionante. Ecco un altro grafico tratto dalla ricerca di Oxford Economics:
Conseguenze? Le banche italiane sono zavorrate. Potrebbero aumentare la concessione del credito (e in piccola parte lo stanno facendo) ma sono frenate dall’eccessivo peso dei non performing loans. Sono crediti che devono essere “spostati” da un’altra parte e gestiti in maniera organica per “liberare” la finanza per le imprese. Come si fa la bad bank? Oxford Economics cita il caso della Spagna che nel 2012 ha creato la Sareb, un veicolo finanziario che ha assorbito gli asset deteriorati dopo lo scoppio della bolla immobiliare (e conseguente crisi bancaria) per circa 50 miliardi di euro. Si può fare? Secondo Oxford Economics sì e il beneficio sarà evidente perché le banche italiane hanno troppe sofferenze che finiscono per imbrigliare la ripresa. Il governo Renzi deve accelerare il passo, il rischio è quello di rassegnarsi a una crescita destinata a restare un esercizio teorico.
Grecia ok. Dopo diciotto ore di trattative, il governo di Atene ha dichiarato di aver raggiunto l’accordo con i creditori. Ricordo il conto finale del terzo piano d’aiuti: 86 miliardi di euro. Secondo il ministro delle Finanze, Tsakalotos, restano aperte “due o tre piccole questioni”. Sì, ma il diavolo s’annida nei dettagli (via Financial Times).
Google cambia. Ma come? Larry Page e Serghei Brin hanno annunciato una riorganizzazione profonda. La trasformazione da motore di ricerca (e calamita di pubblicità) a conglomerato di aziende operanti in settori diversi. Il mercato si eccita, ma dopo i primi elettrizzanti minuti sulla postazione da trading (il titolo ha segnato +5 per cento nell’after hours), qualcuno comincia a chiedersi che cosa sta succedendo realmente. Davvero il modello è quello di Warren Buffett? Per ora, c’è una sola certezza: Sundar Pichai, il mago del sistema operativo Android, diventa ceo di Google. Per il resto, abbiamo una holding. E un recap della storia di Google dalla A alla Z (via Wired).
Terra terra. Mentre Google va sulla luna, noi scendiamo terra terra. Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, via Twitter alle ore 7:55: “La Cei osteggia da sempre la Lega perché vede la situazione dalle stanze romane. Si affidi ai parroci”. Allega immagine di un’intervista a Repubblica dal titolo eloquente: “I vescovi offendono il mio Veneto cattolico, aprano agli immigrati i loro seminari vuoti”.
Trump. Donald ha fatto pace con Fox News dopo il dibattito televisivo con altri 16 candidati repubblicani alle presidenziali. Le accuse alla giornalista Megyn Kelly restano, la tregua è siglata, la guerra è appena cominciata (via Politico).
11 agosto. Esce American Graffiti, secondo film diretto da George Lucas. E’ il 1973, tripudio dell’auto americana, con un giovanissimo Ron Howard e occhio alla Ford Thunderbird con la bionda alla guida.
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