Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
La politica è come il poker. Chiedete a Renzi
Titoli. La politica è come il poker: una sola mano sbagliata può rovinarti, oppure darti il potere di dominare il tavolo molto a lungo. Renzi ha tre mani in pochi mesi: referendum sulle trivelle, voto amministrativo, referendum costituzionale. Lui dice: mi gioco tutto. E si riferisce alle riforme. Ha ragione, ma in realtà Renzi in questo momento è quasi inaffondabile, la sua longevità politica è assicurata dall’assenza di alternative (per ora) dentro e fuori il suo partito. Non ha avversari nel Pd, non ha sfidanti nell’opposizione. Ha avversari che fanno molto rumore, possono vincere la guida delle metropoli (ballano Roma, Napoli, anche Milano) ma non hanno i numeri per governare il paese. E se il referendum sulle trivelle fa cilecca (possibile), il voto amministrativo non è del tutto negativo (difficile) e il referendum costituzionale passa (probabile) cosà sarà del futuro di Renzi? Fa un altro giro subito (5 anni) e inaugura un ciclo tipico della politica italiana: 10/20 anni. Ah, certo, c’è la giustizia e quello è un altro film. Primo caffè, Corriere della Sera: “Renzi e le riforme: «Mi gioco tutto sul referendum»”. Le opposizioni hanno disertato l’aula, plastica rappresentazione dell’assenza di idee. Mai disertare le assemblee, succedono cose che poi segnano il futuro. C’è un passaggio illuminante ne “La caduta dei giganti” di Ken Follett: 1917, i bolscevichi hanno rovesciato il regime dello zar, si tiene un congresso per decidere linea, comando, governo. Lenin lo presiede, si sta quasi rassegnando a un compromesso tra le fazioni litiganti del movimento rivoluzionario quando, a un certo punto, gli avversari abbandonano la riunione e Follett fa dire a Lenin: «Siamo salvi! Non mi sarei mai immaginato che avrebbero commesso un errore simile.». Poi, qualche riga più avanti, l’esito politico: “E in quel momento, finalmente, Grigorij cominciò a capire perché Lenin era felice. Con i menscevichi e i socialisti rivoluzionari fuori dall’aula, i bolscevichi avevano una maggioranza schiacciante. Potevano fare qualsiasi cosa volessero senza bisogno di compromessi. Si votò. Solo due delegati si dichiararono contrari. I bolscevichi avevano ottenuto il potere e ora erano legittimati a governare. II presidente dichiarò chiusa la seduta. Erano le cinque del mattino di giovedì 8 novembre. La rivoluzione russa aveva vinto e i bolscevichi erano al potere”. C’è altro sul Corriere? La vignetta di Giannelli, che coglie il senso, la prospettiva della visita a Londra di Maria Elena Boschi: studia da futuro premier. Ci riuscirà? C’è tempo. Sempre giustizia permettendo, ci mancherebbe.
Che fa Repubblica? Sorvola sulla riforma del Senato, apre sulle dichiarazioni del presidente della Corte Costituzionale sul referendum del 17 aprile: “Il voto è un dovere. Sulle trivelle l’effetto Consulta”. Be’, forse sarebbe meglio attendere il voto, giusto per vedere se l’effetto c’è o no. Dettagli, dai, andiamo avanti. C’è un commento di Ezio Mauro sempre interessante, sempre più nei panni dello storico con radici “azioniste”. L’ex direttore di Repubblica si occupa della faccenda trivellante, (ri)scrive la storia dell’istituto referendario con tanto di citazione d’ordinanza di Costantino Mortati, ma zero commenti in prima pagina sul discorso di Renzi e la fine del bicameralismo che, a occhio e croce, è argomento che ha tenuto banco per circa trent’anni anche sulle pagine di Repubblica, è scelta singolare. Il pezzo più letto? Di taglio basso: “Salvate la carbonara dagli chef di Francia”. Giro di titoli. La Stampa: “Un fondo da sei miliardi per salvare le banche. Pensioni, giallo nel Def”. Ellery Queen al ministero con Padoan. Molinari mette in prima pagina quattro interviste, la più interessante per il titolare di List è quella a Tom Wolfe che parla di Bernie Sanders. Altro? Libero: “Mr. Expo non paga i debiti”. La campagna elettorale di Milano è in piena Sala Bingo. Il Giornale è allo sportello e vede novità: “Banche, cambia tutto”. Il Messaggero si sposta a Nord: “Migranti, il muro del Brennero”. Notizie su Roma? In prima pagina, zero. O meglio, ci sono sempre Roma e Lazio, se vi interessa il calcio. Carlino-Nazione-Giorno escono in stereofonia: “La Consulta tifa quorum”. Passiamo alle cose che contano, money. MF informa che sulle banche ieri è successo qualcosa: “Banche, c’è lo scudo da 5 mld”. Si chiama Atlante e servirà a smaltire le sofferenze bancarie e garantire gli aumenti di capitale. Il Sole 24Ore ha un taglio sul futuro del Corriere della Sera: “Rcs vola in Borsa sull’Ops Cairo”. Il presidente designato di Confindustria, Vincenzo Boccia, commenta: «È un’operazione di mercato ed è proposta da un editore puro, italiano». Parole di grande buonsenso. Vedremo presto quanto ne avrà il gruppo Rcs. Buona giornata.
E’ morto Gianroberto Casaleggio. Era malato, aveva 61 anni, ha cofondato con Beppe Grillo il Movimento 5 Stelle. Una vita piena di avventure, imprese e visioni. Scrisse al Corriere della Sera: “Sono un comune cittadino che con il suo lavoro e i suoi (pochi) mezzi cerca, senza alcun contributo pubblico o privato, forse illudendosi, talvolta anche sbagliando, di migliorare la società in cui vive”. Che gli sia lieve la terra.
Agenda Renzi. Il presidente del Consiglio è in visita ufficiale in Iran.
The Day After Brexit. Il Financial Times lo ha immaginato e impaginato: è il 24 giugno 2016, David Cameron si risveglia a Downing Street da sconfitto, ma dice che resterà primo ministro; i mercati europei crollano, da Edimburgo il leader degli indipendentisti scozzesi dice che i suoi connazionali hanno votato per restare in Europa ma ora chiede un secondo referendum per rivotare sulla scissione della Scozia dal Regno Unito, Francia e Germania fanno un comunicato congiunto per dire che ora serve un governo comune per l’Europa, nei giorni seguenti Cameron è costretto alle dimissioni, i Tories cercano un nuovo leader, si scontrano Boris Johnson e George Osborne, vince al secondo turno il sindaco di Londra che forma un governo e all’ingresso di Downing Street, il primo giorno da leader, spicca una frase in latino e entrando sbatte sulla porta. Esilarante. Tragico. Forse più vero del vero.
Belgio, Stato fallito. Politico ha fatto un rapido controllo sulla sorveglianza in metropolitana dopo gli attentati e i continui allarmi a Bruxelles. Il titolare di List riporta l’esito del check, a futura memoria:
Gare du Midi: c’è il personale di sorveglianza all’ingresso, non c’è nessuno nelle piattaforme di sosta, 9:45
Horta: neanche l’ombra di personale e sorveglianza, 10:15
De Brouckere: c’è personale e sorveglianza militare, ore 13.
Arts-Loi: area presidiata dal personale e sorvegliata, 10:30, 13 e 18:30
Saint-Catherine: non presidiata, non sorvegliata, 6:45 pm
Tutto a posto, la metropolitana può riaprire. Anche per i terroristi. Nota sul taccuino: avvisare Felix-Rampini. Belgio, Stato fallito.
Panama Papers. Chi è John Doe? E se fosse lui, Putin? Ci sono undici milioni e mezzo di documenti che un tale chiamato “John Doe” invia l’anno scorso alla Suddeutsche Zeitung. Ottimo. Ma chi è John Doe, qual è la fonte. I giornalisti hanno in mano milioni di documenti, ma nessuno si interroga su chi è la fonte? Eppure il quesito merita qualche interrogativo, perché la domanda che si pongono tutti è chi c’è dietro. Qualcuno ha detto, non ci sono americani, c’è dietro la Cia. Avanza però un’altra teoria: che dietro le rivelazioni ci sia Putin. Lo sostiene Clifford Gaddy della Brookings e la ricostruzione ha il suo fascino da spy story: la manina dei russi lavora così, la notizia non sono i nomi che ci sono, ma quelli che non ci sono. Un avvertimento del tipo: sappiamo tutto di te, abbiamo seguito la scia del tuo denaro e stai attento. Si chiama ricatto del silenzio.
12 aprile. Nel 1633 Galileo è accusato di eresia.
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