Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Sulla Libia si palesa l'inconsistenza di Europa e Obama: soldati? Sì, ma per fare cosa?
Titoli. Avanti march! A leggere i giornali siamo pronti a inviare soldati. Come accadde qualche settimana fa, fioriscono i piani di guerra e i giornali pullulano di generali Patton. Molte cose sono pronte e prima dell’estate qualcosa succederà, ma il cosa è ancora tutto da scoprire e i numeri non stanno in piedi proprio perché non si sa cosa dovrebbero fare i soldati. Devono difendere i pozzi di petrolio. E’ difesa/attesa. O è difesa/azione. E con Isis che si fa? Ci saranno operazioni di search and destroy? Il punto è sempre quello: cosa devono fare i soldati. Tra le righe del Libya Herald emerge la preoccupazione dei libici: a Hannover s’è deciso poco, il governo di Serraj, quello insediato dall’Onu, ha spazi di manovra ancora molto limitati. I libici si attendono truppe che combattano contro i miliziani di Isis, gli americani sono meno che tiepidi, al massimo ci sarà un appoggio navale degli Stati Uniti (che in ogni caso non impedirà le partenze dei migranti dalle coste, come faceva notare ieri il Guardian), la Russia non riconoscerà il governo Serraj finché non ci sarà un voto di fiducia del parlamento libico, l’Italia vuole estendere le operazioni militari in Siria e Iraq sotto il mandato Onu anche alla Libia. Ci sono tutte le premesse per entrarci vivi e uscirne morti. Nel frattempo, i giornali vanno in rotativa. Primo caffè, Corriere della Sera: “Libia, l’Italia offre 900 soldati”. Questo il titolo confezionato ieri. Ecco la risposta della Difesa, via Agi, stamattina alle ore 7 e 48: “In riferimento ad un articolo pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, che parla dell'invio di 900 militari in Libia, lo Stato Maggiore della Difesa comunica che la notizia è priva di qualsiasi fondamento”. Il numero di soldati dipende dal “che fare?” e il quesito non ha trovato una risposta. Andiamo avanti. C’è altro sul Corriere? Claudio Magris s’inerpica sulla spalla del quotidiano per spiegarci l’Austria. Andiamo direttamente alla chiusa del pezzo: “Se non sarà risolta, l’Europa di domani potrà assomigliare a quella orribile degli anni Trenta e la Vienna di queste elezioni sarà nuovamente stata, come diceva di essa tanti decenni fa Karl Kraus, un osservatorio meteorologico della fine del mondo. Non sembra probabile l’altra interpretazione di quell’antico motto latino, che diceva che all’Austria spettava il compito di governare il mondo intero”. Sono tempi Magris. Forse c’è più ciccia su Repubblica? “La Libia chiede aiuto all’Onu. Obama: migranti, basta muri”. Citofonare Obama: ci sono muri, al confine con il Messico, a Tijuana. Verificare. Altri titoli? Leggere Gianni Mura sulla Juventus, serve come principio di organizzazione della vita: “Ora è chiaro che con uno stadio di proprietà e una squadra di brocchi non si vince nulla, com'è chiaro che uno stadio di proprietà consente alla Juve operazioni di marketing, merchandising e altro ancora che ingrassano le entrate. Sul mercato la Juve ha speso perché poteva spendere, non trovandosi nella situazione debitoria che condiziona le milanesi. A chi non capisce molto di calcio sembrava un ninnolo costoso Dybala. Invece, come Pogba a parametro zero, è stata un’ottima intuizione. Non è che in questi cinque anni la Juve abbia azzeccato tutto: qualche pedina (Elia, Bendnter, Anelka) l'ha pure sbagliata, ma attenzione: quando la Juve sbaglia, sbaglia meno degli altri”. Facciamo un giro di titoli, le scelte per la prima pagina sono quasi tutte uguali, dopo un po’ arriva l’overdose di noia. La Stampa: “Truppe italiane per proteggere l’Onu a Tripoli”. Carlino-Nazione-Giorno hanno sempre il tono da scoppio della guerra: “Renzi, ultimatum a Vienna”. Il Giornale è già in trincea: “Pronti alla guerra in Libia”. Libero ha un’intervista a Marine Le Pen che naturalmente ha un vaste programme: “Liberiamoci dall’Europa”. Fermi tutti, l’Unità s’è trasferita a Washington e va in edicola con questo titolo: “Yes we can”. Stordito dal cosmopolitismo anglofilo del giornale che fu fondato da Antonio Gramsci, il titolare di List chiede un caffè ar vetro e si dedica alla lettura de Il Messaggero: “Entra Totti e si riaccende la luce. Napoli battuto 1-0 al novantesimo”. Er Capitano è sempre al Circo Massimo. Altro? Money. MF ci dice che allo sportello c’è poco da star sereni: “Banche, ci mancava solo Moody’s”, l’agenzia di rating vede problemi su Unicredit. Il Sole 24Ore ha un titolo di taglio che avrà risvolti politici interessanti: “Banche, due vie per i rimborsi”. Tutti pronti all’incasso. Buona giornata.
Salvini fa la foto con Trump. E così abbiamo visto anche questa, ci mancava. Scattata a Filadelfia.
Obama presidente del Pacifico. Perché il suo intervento sul referendum inglese è un potenziale disastro e perché la sua presidenza ha segnato la fine dell’Anglosfera. Sul Financial Times.
Apple e Twitter, occhio ai conti. Escono oggi i dati di molte aziende hi-tech. Occhi puntati sulle vendite di iPhone e sul futuro di Twitter dopo l’accordo con NFL.
Cosa fa l’Fbi? Intercetta tutti. Il dipartimento della giustizia in America sta riscrivendo le regole sui poteri di indagine del Federal bureau che potrà intercettare le comunicazioni telematiche in qualsiasi parte del mondo. E così dopo Nsa e Cia, gli Stati Uniti espanderanno all’estero il loro potere nel settore dell’intelligence.
26 aprile. Nel 1961 la Rai trasmette la prima Tribuna Politica. Fu creata per decisione di Amintore Fanfani, il primo conduttore fu Jader Jacobelli.
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