Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Cinque punti d'analisi per capire cosa sta succedendo in Unicredit
Titoli. C’è una non-notizia che è poco più di un annuncio (aiuti alle pensioni minime) e fa titolo e c’è una notizia (le dimissioni a turbo-orologeria del capo di Unicredit), una strana storia dello strano sistema finanziario italiano che finisce in pagina senza enfasi. E invece la parabola di Federico Ghizzoni, ad di Unicredit, è interessante, proiettata all’estero e nello stesso tempo molto italiana, mostra come si stanno muovendo nuovi (e vecchi) attori della finanza internazionale (e domestica) nel sistema che boccheggia per riduzione dei margini di guadagno. Proviamo a mettere insieme un po’ di fatti. Primo punto, quello che dovrebbe accendere i neuroni a Palazzo Chigi: Ghizzoni è caduto sulle spalle di Atlante e la vicenda della Popolare di Vicenza; secondo punto: il peso delle decisioni si è spostato dalle fondazioni bancarie ai soci esteri e la storia suona come un la musica è finita per un capitalismo fatto di molte relazioni e pochi capitali; il terzo punto è una domanda: come può restare in carica un consiglio che oggi manda via Ghizzoni ma fino all’altro ieri gli ha rinnovato totale fiducia?; quarto punto: dove sono finiti i consiglieri indipendenti di Unicredit?; quinto punto: il governo non ha niente da dire? Primo caffè, Corriere della Sera, titolo di taglio: “Il passo indietro di Ghizzoni. Svolta Unicredit”. Il fatto meraviglioso è l’occhiello: “La banca: ha gestito anni difficili”. E lo cacciano. Esilarante. Come presenta la vicenda Repubblica? In prima pagina non c’è nulla. Andiamo avanti. La Stampa piazza di spalla un pezzo di Francesco Manacorda (“Alle radici della crisi di Unicredit”) che punta dritto al bersaglio, le fondazioni bancarie: “Il Paese si avvia addirittura a cambiare la sua legge costituzionale. Ma il sistema di potere dove la politica e il credito si abbracciano inestricabilmente, quello no; non cambia mai. L'avvocato Giuseppe Guzzetti, alla guida delle fondazioni bancarie riunite nell'Acri dal 2000 e che nel 2017 compirà un ventennio da numero uno della Cariplo, già consigliere regionale lombardo nel 1970, quando chi scrive frequentava la prima elementare, difende con vigore e passione ammirevoli le virtù delle fondazioni; si tratta di azionisti di lungo corso – dice – che danno stabilità al sistema. Nei casi più virtuosi è vero: la stabilità in anni di grandi sommovimenti può essere un valore nel breve periodo; anche se nel più lungo rischia di far rima con immobilità e di ritardare solo cambiamenti che comunque dovranno verificarsi. Anche Guzzetti e l'Acri dovrebbero però chiedersi se è utile e opportuno che le stesse facce, gli stessi nomi, gli stessi interessi consolidati, restino stretti e avvinghiati alla base del potere bancario”. Tutto vero, ma resta la domanda: Ghizzoni cosa paga? La bassa quotazione del titolo Unicredit? La Borsa è un termometro, non è il male. C’è forse un piano alternativo nel cassetto da mesi? Sarebbe il caso di dirlo al mercato, al governo, ai piccoli azionisti, ai correntisti di Unicredit, perché il 10 maggio, cioè l’altro ieri, venivano confermati gli obiettivi di Ghizzoni: “La realizzazione del piano strategico procede al ritmo previsto: sono già tangibili sia i risultati legati alla riduzione dei costi, sia quelli collegati alla trasformazione digitale della banca”. Poi, improvvisamente, Ghizzoni salta come un tappo di champagne. Che storia curiosa. Altri titoli sul caveau più internazionalizzato d’Italia? Carlino-Nazione-Giorno: zero tituli. Il Giornale? Niente. Libero? Niente. Il Fatto Quotidiano? Titolo in box a centro pagina: “Flop su PopVicenza, Unicredit caccia l’ad”. L’Unità? Niente. Il Foglio? Ha in prima pagina, in apertura, un pezzo di Alberto Brambilla, uno dei pochi che ha il radar puntato sul quadrante giusto: “Le dimissioni di Ghizzoni dalla seconda banca italiana per capitalizzazione erano nell’aria da mesi e, secondo indiscrezioni, la spinta dei soci esteri è stata decisiva. Il cambiamento sottolinea un movimento strutturale nel settore bancario in cui un nuovo regime animato da investitori globalizzati s’è sostituito a quello delle fondazioni locali. Nel 2010 le fondazioni bancarie furono decisive nell’allontanare l’ex ad Alessandro Profumo. Fondazione CariVerona, allora primo socio, voleva la testa di Profumo mentre Fondazione Cassa di Risparmio di Torino non fermò il boia. La rapida ascesa dei soci libici venne usata come pretesto dall’allora presidente, il tedesco Dieter Rampl, per sollevare un caso di violazione della governance e portare alla rottura del rapporto fiduciario con l’ad. Per Ghizzoni vale l’inverso. Le fondazioni hanno ridotto il loro peso mentre gli azionisti stranieri, il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar, e il fondo americano BlackRock, il più imponente al mondo che ha puntato almeno 50 miliardi sui titoli italiani, sono i primi soci con circa il 5 per cento delle quote rispettivamente. Gli investitori istituzionali rappresentano inoltre il 41 per cento del capitale e per il 96 per cento sono residenti in Europa continentale, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e altrove; solo il 4 per cento in Italia”. Chiudiamo con due giornali che di mestiere stampano cose economiche. MF registra il fatto: “Unicredit, Ghizzoni pronto all’uscita”. Il Sole 24Ore ha un titolo di taglio (“UniCredit, Ghizzoni lascia”) e un’analisi di Alessandro Graziani: “La svolta al vertice di UniCredit richiede una soluzione in tempi rapidi. Il colosso del credito ha bisogno di una guida certa e che abbia il pieno consenso del board e dei grandi azionisti. Due le priorità strategiche: fare chiarezza definitiva sull’aumento di capitale e ridefinire la presenza paneuropea del gruppo senza pregiudicarne la redditività”. Traduzione: se incautamente vendi i pezzi del tuo sistema che guadagnano soldi, alla fine resti a secco e muori di sete. Buona giornata .
Grecia, Eurogruppo: ok a 10,3 miliardi di euro. E alla fine, nella notte di Bruxelles, arrivò la decisione. Ci sarà un intervento sul debito e il Fondo monetario è pronto a impegnarsi. In fondo, hanno preso tutti solo ancora un po’ di tempo. Il sirtaki finanziario di Atene continua.
Che fa Renzi? Si prepara per il vertice del G7 che comincia domani in Giappone. Quando i presidenti del consiglio vanno all’estero, di solito succede qualcosa in patria. Occhio ai renzisti.
Siamo tornati in Iraq. Senza clamori, con passo felpato, siamo tornati in Iraq, territorio ostile. Leggere per credere il decreto di finanziamento delle missioni militari all’estero in discussione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa da ieri. Leggiamo, dunque:
In ordine all’accreditamento del personale militare che sarà impiegato nella specifica operazione, è in corso di perfezionamento lo scambio di Note verbali con il Governo iracheno inteso ad autorizzare l’ingresso e lo stazionamento del contingente italiano nel territorio della Repubblica d’Iraq, con passaporto diplomatico e riconoscimento del relativo status, assicurando l’uso dell’uniforme e il diritto a trasportare armi per la protezione personale dello staff, delle strutture e delle installazioni. Solo a seguito del perfezionamento del relativo iter, si procederà, previa conforme indicazione parlamentare, all’effettivo invio del personale aggiuntivo nel teatro operativo”. Welcome in Iraq.
Al Sisi organizza un vertice per il Medio Oriente. L’Egitto si piazza come mediatore, via Agenzia Nova: “La diplomazia egiziana è al lavoro per l’organizzazione di un vertice per il Medio Oriente al Cairo. Secondo quanto riporta il quotidiano egiziano “al Masry al Youm”, presto potrebbe tenersi nella capitale egiziana un vertice tra il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, quello dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Fonti palestinesi riferiscono che le autorità di Ramallah hanno apprezzato l’iniziativa egiziana, mentre gli israeliani, nonostante alcune difficoltà, non potrebbero rifiutare un accordo di pace proposto da al Sisi. Per questo motivo, spiega la testata egiziana, Netanyahu avrebbe dato la propria disponibilità di massima a partecipare all’incontro e a trattare direttamente con Abbas”.
Monsanto a Bayer: 62 miliardi non bastano. Gli americani hanno rifiutato l’offerta dei tedeschi. Ma resta aperta la trattativa per fondere i due titani dell’agribusiness.
25 maggio. Nel 1977 esce sugli schermi americani Star Wars.
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