Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Tutto quello che c'è da sapere sulla Confindustria di Vincenzo Boccia
Titoli. C’è un nuovo presidente di Confindustria. Il fatto viene impaginato con diversa tonalità dai quotidiani e dall’osservazione della scelta gerarchica della notizia, si può tracciare una mappa dei “poteri in corso”. Il Corriere della Sera fa l’apertura (“Riforme, sostegno da Confindustria. La ripresa non c’è”), mentre Repubblica gli dedica un (piccolo) titolo di taglio (“Confindustria ai sindacati: salari legati alla produttività”), la Stampa fa altrettanto con un titoletto su due righe (“Referendum, la Confindustria si schiera per il Sì con il governo”), Il Giornale dipinge l’associazione come “un carrozzone” che si piega a Renzi”, Libero non gli dedica una riga in prima pagina, Il Fatto Quotidiano attacca un francobollino e spedisce una lettera non proprio d’amore (“E la Confindustria del renziano Boccia salta sul carro del Sì”), così come il Manifesto (“ed è subito sì”). Dal tantissimo al nulla, passando per vie prudenti, si capisce che pochi hanno colto il passaggio più interessanti della relazione di Boccia. La novità non è quella della contrattazione (ci sono ampi precedenti nell’associazione in proposito) né l’appoggio al referendum (vedere le proposte del passato di Confindustria su bicameralismo, titolo V e nimby), il nuovo che avanza (forse) del neopresidente Boccia è la rottura della retorica sulla nanificazione del sistema delle imprese italiane, la sua apertura al private equity (richiamato in uno strillo in prima da MF), quel capitale di rischio che è sostanza e missione dell’imprenditore (banchieri compresi). Boccia ha detto che piccolo è sì ancora bello, ma non più convincente e soprattutto vincente nei mercati globali. Il problema delle dimensioni delle aziende italiane è una cosa seria tra le tante che frenano il nostro sviluppo, l’obsoleta cultura d’impresa ferma all’apoteosi del controllo senza capitali è un dato da superare. Basta dare una rapida occhiata ai dati Istat: la micro-impresa continua ad essere un fatto strutturale della nostra economia, il numero medio di addetti è 4, “Germania e Regno Unito hanno imprese mediamente più grandi e al tempo stesso quote più basse di lavoratori indipendenti, segnale di una prevalenza di forme organizzative di tipo societario”. Il direttore del Sole 24Ore ha giustamente ricordato che ci sono da “fare le cose difficili” e la sfida della dimensione imprenditoriale (non solo quantitativa ma anche qualitativa) è forse la principale che va in tandem con un programma di governo da aggiornare rapidamente sul fronte fiscale e dello sviluppo del Mezzogiorno (titolo sul Mattino: “Per il Sud si deve fare di più) perché è dove ci sono distanze abissali da colmare che si può provare a fare lo scatto che ancora manca all’Italia. Non è una missione impossibile, si può fare e per questo il referendum costituzionale di ottobre rappresenta un passaggio cruciale: se passa, l’Italia volta pagina, dimostra che il Paese del piagnisteo è archiviato, ma se dovesse fallire allora allacciate le cinture perché la macchina del tempo potrebbe farci fare un salto all’indietro, in un buco nero dal quale sarà difficile se non impossibile uscire. La contemporaneità corre e non ci aspetta. Buona giornata.
Apple punta su Time Warner. Eccola, la contemporaneità, sul Financial Times.
Nessun giornale italiano ha la notizia in prima pagina e non è un buon segno: la diversificazione in corso nella compagnia fondata da Steve Jobs è una parabola da seguire con molta attenzione, racconta la sfida non solo tecnologica, ma culturale di tutta l’industria. Un’azienda con grandi capitali a disposizione vede all’orizzonte il declino del suo core business (i ricavi da hardware) e sta virando verso i contenuti (Time Warner), la mobilità (l’investimento nella Uber cinese) e i servizi. Il modello Apple è quello da osservare perché la digitalizzazione nelle economie avanzate rappresenta l’industria tout court, passa attraverso processi di miniaturizzazione e robotizzazione che scompongono il prodotto e il lavoro, i fattori del capitale diventano volatili fino a trascendere l’elemento umano, mentre la creatività si solidifica come elemento chiave dell’impresa. Si chiama futuro, è davanti a noi.
Obama a Hiroshima. E’ l’unica notizia che viene fuori dal G7 in Giappone, segno della stanchezza di un format che si trova di fronte a multiple sfide ma non riesce a trovare il concerto per una risposta unitaria. L’unica dichiarazione congiunta su cui c’è un accordo vero è sui rischi della Brexit. Politicamente, è un vertice fallimentare. E Obama sente il bisogno di commentare l’ascesa di Trump in questi termini: “Ignorante e con comportamenti sprezzanti, i leader sono preoccupati”. Anche questo è un altro segnale: The Donald è figlio del voto di larghissima parte degli elettori repubblicani (e se ascoltate e leggete cosa dice Sanders avrete lo specchio democratico), non è un marziano. Il problema di Obama non è Trump, ma l’America che lascia il presidente del “Change” dopo due mandati, la sua imbarazzante eredità. Cronaca live del G7 sul Guardian.
Renzi in Giappone. Gli appuntamenti, le foto, la conferenza stampa del presidente del Consiglio. Sul sito del governo.
Brexit in volata. Manca meno di un mese all’appuntamento più importante per l’Europa. Martin Wolf racconta i dolori del giovane Cameron, l’uomo che potrebbe scoprire di aver promosso un referendum che lascerà solo il Regno Unito.
SpaceX lo fa ancora. L’azienda spaziale di Elon Musk riprova il numero dell’atterraggio in verticale su una piattaforma galleggiante nell’oceano. L’impresa è già riuscita, le missioni si moltiplicano, è una nuova industria che trova sempre più economicità nell’uso dei vettori spaziali.
27 maggio. Nel 1901, nel New Jersey viene fondata la Edison Storage Battery Company. E’ trascorso più di un secolo, la batteria continua ad essere il problema.
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