Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
La querelle tra Turchia e Germania e la sfilata dell'esercito dei sindaci ai Fori imperiali
Santi Carlo Lwanga e dodici compagni, martiri.
Titoli. Il genocidio dimenticato. Lo sterminio entrato nel campo di prigionia dell’oblìo, senza storia, esce dal portone della contemporaneità e ricorda all’uomo che il sangue e il dolore sono e restano memoria. E proprio là dove il ricordo si fa plumbeo, nella terra che divenne abisso, la Germania, la storia ritorna, si riprende tutti i caratteri abrasi dal tempo, i nomi delle vittime, delle mamme, dei figli, dei padri, dei nonni, i volti degli armeni. Prima Guerra mondiale, l’inesorabile innesco per il piano del governo ottomano. Dal 1915 comincia un’operazione di eliminazione metodica: i turchi rastrellano, deportano, uccidono ogni armeno che vive sulla loro terra. Nel 1923 in Anatolia non ci sarà più traccia degli armeni. Due milioni di persone muoiono. Devono sparire tutti, per sempre, vengono uccisi i bambini, le donne impalate. Niente di loro deve restare. E’ questo, il genocidio. La parola che echeggia nell’aula del Bundestag e diventa un documento ufficiale del Parlamento della Germania ha aperto la crisi con la Turchia che non riconosce quel frammento incandescente di storia come genocidio. La Turchia di Erdogan non riesce a guardarsi allo specchio. L’impero ottomano non c’è più, il sultano è polvere nella clessidra, ma il governo turco resta incastrato nella sua memoria deformata, nei suoi dogmi, nella trappola di un islamismo che è la sua premessa ma sarà anche la sua fine. C’è posto nell’Unione europea per chi nega il genocidio degli armeni? E’ l’Europa che ha affidato il controllo dei suoi confini alla stessa Turchia che blinda la propria coscienza. Possiamo fidarci? E noi europei, così civili, così pronti a insegnare a tutti i principi, a fare la morale, dispensare il come, elargire il perché, imporre il quando, noi europei abbiamo la coscienza a posto sapendo che la vita di uomini, donne, bambini che fuggono dalle bombe, dai tagliatori di teste, dalla fame, alla fine dipende dalla Turchia? Non sono fatti lontani, non è un foglio di antica cronaca ritrovato in soffitta, non è un diario ingiallito con le pagine strappata, la storia degli armeni riconduce alla velocità del suono, con un bang infinito, alla contemporaneità. Siamo noi. E’ il nostro autoritratto sui giornali di oggi. Primo caffè, Corriere della Sera: “«Fu genocidio» Crisi sugli armeni Berlino-Ankara”. La Repubblica: “La sfida di Berlino: genocidio armeno, Turchia colpevole”. La Stampa: “Ue, prime luci di ripresa Ma è crisi diplomatica tra Merkel ed Erdogan”. Altro? Il Foglio ha un articolo su Bassam Tibi, l’islamologo che coniò la parola euroislam. Ammette la sua sconfitta: “Non ci sarà alcun islam europeo”, perché ha vinto “l’islam del velo, che è rappresentato dagli islamisti e dai salafiti ortodossi”. Fine. Andiamo avanti. Domenica si vota e ci sono un paio di titoli. Il Giornale vede le tre carte ovunque: “Vogliono truccare la partita”. Libero ritrova una vecchia conoscenza: “Berlusconi: occhio che risorgo”. Non sarebbe la prima volta. Il vero ciclone l’ha sollevato Roberto Benigni, il suo sì al referendum ha ridotto come stracci quelli del girotondo permanente e del bungabunghismo costituzionale. Il titolo che riassuma le comiche finali dei santi protettori della rivoluzione in carrozza è del trio Carlino-Nazione-Giorno: “Dario Fo: Benigni traditore”. Ottimo incentivo per il Sì al referendum. Cose romane? Si vota anche nella Capitale. Caffè ar vetro e Il Messaggero che scopre l’inquietante presenza di liste e candidati: “Roma, la sfida dei programmi. Alle Comunali è boom di liste”. Ieri ha parlato Draghi, Il Sole 24ore fa l’apertura canonica: “Bce rialza le stime di crescita Draghi: pronti a tutto su Brexit”. Buona giornata.
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Occupazione negli Stati Uniti. E’ il dato economico più atteso del giorno. Da questo numero dipende il rialzo dei tassi che la Federal Reserve ha in programma (forse) per il mese di giugno. Gli analisti si attendono la creazione di circa 160 mila nuovi posti di lavoro.
Petrolio, vertice Opec. Come previsto ieri su List, non è successo niente. O meglio, l’Arabia Saudita è riuscita a far passare ancora la sua linea: la produzione non si tocca e il prezzo resta quello che sul mercato in questo momento fluttua intorno ai 50 dollari.
Quattrocento sindaci alla parata. La storia è davvero curiosa: quattrocento sindaci presenti alla parata militare del 2 giugno. Il direttore di Italia Oggi, Pierluigi Magnaschi, si pone la domanda: ma che ci facevano? Festeggiavano il 2 giugno ai Fori Imperiali. Sfilando con le Forze Armate? Ridicolo. Magnaschi centra il punto: “La ciliegina adesso è rappresentata dai sindaci che, con la loro partecipazione, hanno sancito la fine della parata militare che ci si augura, a questo punto, sia abolita, in omaggio alla chiarezza. Il passo successivo potrebbe essere quello di mandare i sindaci in Libia”. Spareranno cartelle esattoriali e delibere.
Il voto a Roma, gli scioperi e WikiRoma. Una delle (poche) cose buone della sgangherata campagna elettorale della Capitale si chiama WikiRoma. Un gruppo di persone che ha messo insieme i fatti, i numeri dei problemi e le possibili soluzioni. Giachetti ha avuto un momento di illuminazione e WikiRoma ha espresso un suo candidato – Stefania Gliubich – in lista. Un segno di innovazione. Esempio, gli scioperi, vero flagello per chi viaggia a Roma: sciopero virtuale, referendum tra i lavoratori obbligatorio nel settore dei servizi pubblici, stop agli scioperi il venerdì, stop agli scioperi nel periodo di maggiore afflusso turistico, niente scioperi contemporanei o consecutivi. Si chiamano regole, vanno al posto dell’anarchia che ha cambiato i connotati a Roma.
3 giugno. Nel 1098 i crociati prendono Antiochia, in Turchia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano