Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
La Nato fa il wargame a est
Titoli. Renzi è deluso. I giornali mostrano il barometro del tempo che fa del premier (e segretario del Pd) e mettono nero su bianco le sue parole. Il primo caffè se ne va con il Corriere della Sera: “Renzi deluso: ora mi occupo del Pd”. Sì, ma c’è anche il governo. E per soprammercato una campagna referendaria. Troppe cose, per un uomo solo che deve fare il direttore d’orchestra, non il lanciatore di peso. La Repubblica squaderna il titolo su due righe: “Renzi: deluso dal voto, si cambia. La Raggi: noi pronti a governare”. In entrambi i casi, vedremo. Cambia spartito La Stampa, con un titolo puntato sul quadro istituzionale: “Sindaci, un’Italia sempre più divisa”. Visto da destra “affonda il sogno di Renzi” (Il Giornale), visto da Feltri “comandano le donne” (Libero) e sarà sempre più così. Con un caffè ar vetro e Il Messaggero i titoli sul voto sono esauriti: “Renzi deluso: il Pd ha problemi”. Sì, ma la soluzione? Non sarà certo il commissariamento di Napoli a dare una svolta a un partito che perde tempo a interrogarsi pensosamente sulla posizione dell’Anpi rispetto al referendum costituzionale. Renzi, Boschi & C. possono decidere che fare: inseguire Bersani o cercare voti. Tra i commenti da tenere da parte, a futura memoria, va ritagliato quello di Angelo Panebianco sul Corriere, per due ragioni: 1. E’ scritto in italiano; 2. Espone delle idee solide e non gassose. Il passaggio chiave è nel finale: “Poiché i ballottaggi sono elezioni nuove, si sconsigliano (ma si tratta di un consiglio che verrà certamente ignorato), gridolini di stupore di fronte a risultati cosiddetti «inattesi». Non è scritto da nessuna parte che chi ha ottenuto più voti al primo turno, il candidato che è risultato in vantaggio, vinca facilmente le elezioni finali. Potrebbe benissimo uscirne sconfitto. Egli potrebbe avere fatto il pieno dei suoi voti al primo turno. Il suo vantaggio iniziale, inoltre, potrebbe innescare una mobilitazione a lui contraria: elettori che non hanno votato al primo turno potrebbero votare al secondo con il solo scopo di farlo perdere. Da cento anni si ripete il ritornello sulla distanza fra il «Paese legale» e il «Paese reale». Il Paese legale scruta le elezioni locali per ragionare sulle grandi strategie nazionali. Il Paese reale si preoccupa di buche nelle strade e di traffico urbano”. Tema segnalato dal titolare di List prima sul Foglio con una domanda semplice: a chi chiede i voti il Pd di Renzi? E poi con un’intervista su Italia Oggi che ricorda sommessamente che il partito “a vocazione maggioritaria” (Renzi dixit) si fa includendo e non escludendo, catturando i consensi che esistono fuori dalla sempre più ristretta area della sinistra novecentesca. Si possono inseguire i residuati bellici o provare (sul serio) a entrare in un mondo nuovo. Se Renzi resta nella terra di mezzo, perde il referendum e va a casa. Altri giornali da delibare? Leggere MF per ricordarsi con due titoli che in Italia c’è un problema nel caveau. Uno: “Banco, l’aumento parte a razzo”. Speriamo non esploda in volo. Due: “I grandi soci pronti a sostenere Veneto Banca”. E cos’altro potevano fare? Chiudere. Leggere il Sole 24Ore per tenere d’occhio la mappa dell’economia e ricordarsi che non siamo soli nell’universo: “Yellen: rischi da Brexit e lavoro Usa debole. Sterlina sotto attacco”. Siamo sempre nelle mani dei governatori delle banche centrali. Buona giornata.
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Il voto dei romani. Bisogna studiarlo, osservare chi ha votato chi, dove e perché. L’economista e sociologo Antonio Preiti lo ha fatto molto bene (è cresciuto a pane e Censis) e ha girato a List un paio di grafici interessanti. 1. Il Pd e Roberto Giachetti sono rimasti nel loro bacino tradizionale di voti. Errore grave nella strategia complessiva (anche nazionale) del Pd. E la prova sta nel fatto che Giachetti senza la lista civica sarebbe affondato e ha vinto proprio nei quartieri dove quella lista ha preso il venti per cento dei voti; 2. Virginia Raggi ha pescato dal bacino elettorale di tutti, non solo tra delusi, scontenti e chi non vota. Alla fine la Raggi ha messo in cassaforte i voti di tutti, senza steccati ideologici, -ismi anacronistici. Su questa strategia del Movimento 5 stelle il Pd dovrebbe fare una seria analisi e non rispondere in maniera sgangherata; 3. Giorgia Meloni ha preso il consenso degli elettori che scelsero Alemanno; 4. Alfio Marchini ha avuto (pochi) voti provenienti dallo stesso settore.
Gramsci raccomandava di “conoscere l’avversario”. I bisogni espressi degli elettori che cercano una risposta e votano (anche sbagliando) quella che sembra la migliore offerta. Come spiega Antonio Preiti a List: “Viene fuori un’immagine di Roma molto differenziata. Dove la società è salda (o relativamente salda) come nei due municipi centrali, sembra vincere la ratio di governo, dove il disagio è enorme vince la protesta. Lo abbiamo detto di recente con wikiroma il caos e lo spappolamento della città non è neutrale, perché punisce di più le persone che hanno meno mezzi, sia materiali che intellettuali: pensa che il 40 per cento di quanti non hanno titolo di studio vorrebbero fuggire da Roma, e lo stesso lo farebbe solo l’8,5 per cento dei laureati, nonostante che i due gruppi sociali non siano soddisfatti in eguale misura della città. I recinti politici non esistono più, perciò tutto è possibile e non c’è più una sola variante (l’ideologia, o i soldi, o l’organizzazione) a determinare i destini politici: è sempre un mix più ricco che si condensa intorno alla proposta politica che al momento sembra più importante. La politica è diventata il linguaggio del momento, un’appartenenza sempre da confermare e vince chi scava nelle emozioni. E’ "inside out": prendi un’emozione prevalente e primordiale e su quella ci costruisci una strategia politica. Finora era il contrario. Le cose non passano più dall’alto al basso, pedagogicamente, ma l’alto deve capire, interpretare, e rilanciare con una costruzione intellettuale di valore le aspirazioni che vengono dal basso”. Studiare. E poi (ri)fare la campagna elettorale. Ci sono i ballottaggi.
Clinton fa il pieno. La partita con Bernie Sanders è chiusa. Hillary ha la nomination in tasca. E ora si apre il duello con Donald Trump per la Casa Bianca.
La Nato fa il wargame a est. Si chiama Anaconda 2016, è la più grande esercitazione che sia mai stata fatta in est Europa dalla fine della Guerra Fredda, coinvolge 31 mila unità, si svolge in Polonia, durerà dieci giorni. Per chi non lo avesse ancora capito, a Washington hanno un problema con Mosca. Le esercitazioni si svolgono prima del vertice Nato di Varsavia previsto l’8 e 9 luglio che dovrebbe decidere lo schieramento di nuove forze della Nato ai confini della Polonia e degli Stati baltici. Chi ha fatto un balzo nell’acquisto di armi dal sistema del Pentagono? Toh, la Polonia e tutti gli Stati dell’Europa centrale dove la spesa militare è salita del 13 per cento.
Apple? Che noia. La presentazione di nuovi prodotti (che in realtà sono quelli vecchi aggiornati) rallenta e l’unica novità è la corsa a ultimare il nuovo quartier generale di Apple costato 5 miliardi e disegnato come un’astronave. A parte questo, è chiara la crisi creativa, non inventano niente di nuovo (e di vincente) sul mercato e infatti hanno accumulato 230 miliardi di cassa, speso 8 miliardi in ricerca e il risultato è la stagione più bassa di ricavi della storia di Apple.
7 giugno. Nel 1862 Stati Uniti e Regno Unito mettono fine alla tratta degli schiavi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano