Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Il governo di Tripoli chiede armi per combattere l'Isis
Sant’Antonio, sacerdote e dottore della Chiesa.
Titoli. Orlando. Un nome avvolto dall’epica indossa un manto nero: è la morte americana. A ripetizione. Automatica. Seriale. La strage di Orlando. L’assassinio di massa in America. L’autore della carneficina nel gay nightclub Pulse si chiama Omar Mateen, 29 anni, guardia giurata, americano, nato a New York, di origine afghana. E’ stato ucciso dalla polizia. Fu indagato più volte in passato dall’Fbi per sospetti legami con estremisti islamici. Nessun provvedimento. Prima della strage avrebbe chiamato il 911 per dichiarare la sua fedeltà allo Stato Islamico. Isis dice: è uno di noi. L’Fbi ora indaga di nuovo. Troppo tardi. Omar Mateen l’altro ieri sera è entrato in un locale notturno, pistola e fucile mitragliatore in mano. Fuoco. Cinquanta morti. Le sue armi erano regolarmente registrate. Mateen era in una watch list di potenziali terroristi? Era un fanatico? Uno spostato? Un omofobo con il colpo in canna? Perché ha potuto allora mantenere il suo porto d’armi e il suo arsenale? La sua biografia da potenziale futuro killer e terrorista era esposta. Ma nessuno l’ha vista. Adesso, questa cecità collettiva dell’America piove sulla campagna presidenziale. La miopia di Obama, che non fa mai riferimento ai sospetti sull’estremismo islamico e l’autore della strage; la miopia di Trump che non vede il problema del supermarket delle armi, il self service della guerra in casa. L’America? E’ tutta in queste due prime pagine:
Fanatismo e armi. E la corsa alla Casa Bianca in mezzo. La strage di Orlando è la notizia, il resto svanisce in pagina. Primo caffè, Corriere della Sera: “Terrore nel locale gay”. Titolo secco, di cronaca. Repubblica segue la pista islamista: “Strage nel club gay, la firma dell’Is”. La Stampa fa altrettanto: “Attacco all’America nel nome dell’Isis”. Il Messaggero resta in scia: “Massacro Isis nel club dei gay”. Il Giornale trae le conclusioni politiche e culturali: “Isis fa strage di gay, l’Occidente guarda la sua sottomissione”. Più che sottomissione, in questo caso, prima e dopo, c’è un grande peccato di omissione. Prima, non hanno visto Mateen e pre-visto cosa poteva succedere. Dopo, il Presidente Obama non ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, mentre il candidato repubblicano Trump non vede il problema del fucile automatico à la carte. Buona giornata, America.
Drop in Japan. A Tokyo è finita in picchiata (meno 3,5 per cento), vola lo yuan. Si pensa a un Brexit imminente. Mah. L’Europa ha aperto male e chissà se riuscirà a finire peggio. Parola chiave: nervosismo.
Brexit e scommesse. Lasciate perdere i sondaggi, tenete d’occhio cosa dicono nel mondo delle scommesse: vince il Remain. Forse. I sondaggi dicono cose contrastanti.
Che cosa succede? E’ una settimana che in Italia ha un solo vero appuntamento: il ballottaggio nei Comuni, domenica. Altrove, è un mazzo di carte con poche sorprese. A San Pietroburgo venerdì si tiene il ventesimo forum annuale dell’economia, una sorta di Davos russa, dove ci saranno Putin, il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Sul fronte delle imprese, oggi comincia la riunione annuale degli sviluppatori di Apple, dove dovrebbero essere annunciate importanti novità per Siri. Dati macroeconomici da tenere d’occhio. Oggi: produzione industriale in Cina. Domani: comincia la riunione della Federal Reserve, inflazione in Italia e Regno Unito, produzione industriale in Europa. Mercoledì: finisce la riunione della Fed, ma non succederà niente, i tassi resteranno fermi; escono i dati sulla produzione industriale americana e i dati sul mercato del petrolio. Giovedì: importanti i dati sul mercato immobiliare, inflazione e disoccupazione in America; conferenza stampa di Haruhiko Kuroda, governatore della Banca del Giappone; la Banca d’Inghilterra pubblica le minute delle ultime riunioni, importanti per vedere se parlano di Brexit. Venerdì: escono i dati sul commercio in Italia e soprattutto c’è attesa per un discorso di Mario Draghi, presidente della Bce, a Monaco, Germania. Achtung!
Libia, è una questione di fucili. Le forze libiche fedeli (per ora) al governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu chiedono a Europa e Stati Uniti armi per combattere Isis. “Loro hanno fucili in grado di sparare fino a 2 chilometri, noi no”. La vendita di armi alla Libia è ufficialmente sotto embargo. In realtà è uno di quei posti della terra dove si vende di tutto, purché spari. Via Financial Times.
13 giugno. Nel 1971 il New York Times comincia a pubblicare i Pentagon Papers.
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