Angela Merkel (foto LaPresse)

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Siamo in guerra, dice Merkel

Mario Sechi
Dopo Hollande e Valls, dopo Parigi, apre gli occhi anche a Berlino. La realtà è dura, ma alla fine con puntualità cancella tutti i desideri, le illusioni e rimette i pezzi della scacchiera al loro posto.
    Santa Marta

     

    Titoli. Siamo in guerra. Non lo dice un generale del Pentagono mentre si esalta con l’odore del napalm al mattino (Apocalypse Now), ma Angela Merkel, cancelliera della Germania. E se lo dice, va presa sul serio. Tanto che l’edizione in inglese di Handelsblatt ci fa il titolo: “We are at War”. Siamo in guerra, dunque. Dopo Hollande e Valls, dopo Parigi, apre gli occhi anche a Berlino. La realtà è dura, ma alla fine con puntualità cancella tutti i desideri, le illusioni e rimette i pezzi della scacchiera al loro posto.

     

     

    Si cominciano a chiamare le cose con il loro nome, è un passo avanti verso la soluzione (armata) del problema. Nessuno infatti può immaginare di cancellare il terrorismo islamico con il dialogo. Nel cervello di uno sgozzatore seriale non c’è nessuna idea di fare quattro chiacchiere sulla libertà religiosa, quella è nobile faccenda che si risolve tra intellettuali, il barbuto armato di scimitarra ha una sola vera intenzione: staccarti la testa all’infedele. Presa coscienza di questo non trascurabile evento, tutto il resto va di conseguenza. Dunque, siamo in guerra. Non c’è da illudersi troppo perché se è vero che Merkel ha chiamato le cose con il loro nome, è anche vero che i tedeschi non sono preparati a difendersi. La polizia è esattamente quella vista in azione a Monaco (nel caos), l’esercito è del tutto inadeguato, perfino gli aerei di trasporto truppe hanno carenze enormi. Insomma, la cancelliera dovrà reinventare parecchio e sperare che non accada nulla nel frattempo. Sui quotidiani i titoli sono per lei, giustamente, perché Berlino resta il punto di riferimento di ogni politica europea, ma l’accento sulla guerra è sfumato, accantonato, tenuto là, in attesa degli eventi. Primo caffè, Corriere della Sera: “Merkel e il terrore: Sui profughi non cambio linea”. E poi quella frase, “Wir schaffen das”, ce la faremo che per ora resta poco più di una speranza. Repubblica fa il servizio completo: “Merkel: guerra all’Is ma non chiudo le porte ai profughi”. Molto bene, inflessibile Angela. E poi? “Gli attentati ordinati dal Califfato”, siamo a Rouen e il quadro non è quello dipinto dal Papa (“guerra per denaro”) ma la scena del crimine in Chiesa che con il passare dei giorni rivela il plot della storia nera. Uno dei due assassini aveva scritto su internet: «Tagliate teste». Guerra per soldi? Tagliare teste, non “andiamo a svaligiare la banca”. Il filo rosso che lega gli attentati di Nizza, Anshbac e Rouen conduce in Siria. Finisce così, nella polvere del nulla cosmico, il racconto delle stragi figlie della depressione.

     

    Chiamare le cose con il loro nome, essere consapevoli. Non sembra lo sia il Parlamento italiano, titolo del Giornale: “Servono leggi speciali. Ma per il terrorismo solo venti senatori in aula”. Dettaglio: il ministro dell’Interno Alfano rispondeva al question time sulle misure di prevenzione e contrasto sul terrorismo islamico, presenti solo una ventina di senatori. Giovedì 29 luglio 2016, ore 16.03: vuoto a Palazzo Madama. Erano già tutti con il trolley in mano, in viaggio per il week end. Eppure Alfano di cose ne ha dette, anche importanti: “Dal 1° gennaio 2015 a oggi – oggi inteso in senso letterale – abbiamo controllato 160.593 persone sospette, 346 navi e oltre 34.371 veicoli, selezionati attraverso una scrupolosa attività di osservazione e, quindi, non sorteggiati a caso. Abbiamo arrestato 549 persone ed eseguito 2.859 perquisizioni su soggetti ritenuti contigui ad ambienti dell'estremismo religioso. Abbiamo indagato in stato di libertà 884 persone ed eseguito 102 espulsioni di soggetti evidenziatisi per il grado di radicalizzazione o per il sostegno ideologico alla jihad e 8 di questi provvedimenti hanno riguardato imam”. Al Senato queste cose non interessano. Un’altra buona ragione per mandare tutti a casa con il referendum costituzionale. Buona giornata.

     

    Crescono gli occupati (e i disoccupati). Per sapere, per capire, ecco i dati Istat su occupazione e disoccupazione a giugno: “La stima degli occupati aumenta dello 0,3 per cento (+71 mila persone occupate), proseguendo la tendenza positiva già registrata nei tre mesi precedenti (+0,3 per cento a marzo e ad aprile, +0,1 per cento a maggio). Tale crescita è attribuibile sia alla componente maschile sia a quella femminile e riguarda gli indipendenti (+78 mila), mentre restano sostanzialmente invariati i dipendenti. Il tasso di occupazione, pari al 57,3%, aumenta di 0,1 punti percentuali sul mese precedente”. E i disoccupati? Ecco il punto: “Dopo il calo di maggio (-0,8 per cento) la stima dei disoccupati a giugno aumenta dello 0,9 per cento (+27 mila). L'aumento è attribuibile agli uomini (+2,0 per cento) a fronte di un lieve calo tra le donne. Il tasso di disoccupazione è pari all'11,6 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali su maggio. Diminuisce di 0,3 punti il tasso di disoccupazione tra i giovani 15-24enni”.

     

    Prezzi del carrello della spesa giù. Per sapere, per capire, ecco i dati Istat sull’inflazione in Italia: “Nel mese di luglio 2016, secondo le stime preliminari, l'indice nazionale dei prezzi al consumo per l'intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,2 per cento su base mensile e una diminuzione dello 0,1 per cento su base annua (era -0,4 per cento a giugno)”. Ma sono i prezzi del carrello della spesa quelli da tenere d’occhio: “I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto diminuiscono dello 0,4 per cento in termini congiunturali e registrano, in termini tendenziali, pari a -0,1 per cento (era -0,2 per cento a giugno)”.

     

    I dolori del Fondo monetario internazionale. Durante la grande crisi del debito pubblico nel 2010 i programmi di salvataggio (in particolare della Grecia) sono stati realizzati sotto “pressione politica”. I lettori diranno: che c’è di strano? Il punto è che il Fondo per lavorare al meglio deve fare valutazioni tecniche indipendenti, autonome, realistiche. E questo non è accaduto. Il report dell’ufficio di valutazione del Fondo è molto chiaro sul tema.

     

    La Brexit vista da Tremonti. Interessante lettura sul Sole 24Ore, ecco un passaggio chiave dell’articolo di Giulio Tremonti, movimenti geopolitici, impatto globale della Brexit: “Con “Brexit” la storia ha ripreso il suo corso. Dal lato russo è già stato enfaticamente scritto che: con “Brexit” non è UK che si libera dell’UE, ma l’Europa che si libera dagli USA! E dunque si ritornerebbe al dilemma di Waterloo: fu una sconfitta (per il vecchio continente) od una vittoria (per il nuovo mondo atlantico)? Potenze di terra contro potenze di mare, come nella suggestione di Carl Schmitt. L’Europa continentale e qui in specie la Germania, una volta perso e/o depotenziato il baricentro atlantico, scivolerà davvero verso la Russia e di qui e soprattutto verso l’Asia? All’opposto, certamente per ora e come minimo con “Brexit” la Cina perde la sua principale alleata in UE. Si pensi a questo proposito ad esempio all’aspirazione cinese a configurarsi come “economia di mercato”, aspirazione finora sostenuta soprattutto da UK

     

    29 giugno. Nel 1934, tra il 29 e il 30 giugno, si consuma “la notte dei lunghi coltelli”, l’epurazione dei vertici della Sturmabteilung e degli oppositori di Adolf Hitler.