Tommaso Nannicini

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Mentre Nannicini parla di riforma delle pensioni il pil se n'è andato

Mario Sechi
Il sottosegretario insiste sul dibattito estivo mentre il secondo semestre porta crescita zero. Dall'estero, in Libia è la vittoria del tribalismo. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
    Santa Giovanna Francesca Frémiot de Chantal

     

    Titoli. Siamo là, a un passo da Ferragosto, spartiacque della nuova stagione che accelera verso settembre e il lungo inverno. Gli italiani sono spiaggiati, scalano picchi, s’immergono, occhio al trekking, vai con il surf, cazzi la gomena Fantozzi! Scattano epiche istantanee di impepate di cozze e polpi più affogati che mai, si selfizzano in pose e luoghi che sfidano la forza di gravità. Estate. Ma a un certo punto, in mezzo a questo all’instagrammata collettiva, s’ode un ronzio, una chiacchiera inarrestabile: è il sottosegretario Tommaso Nannicini che parla di riforma delle pensioni. Ora? Sì, ora. Primo caffè, Corriere della Sera: “Pensioni, così cambiano le regole”. Wow, come cambiano? Scorrere l’intervista è come leggere il fondo della tazza da tè, pura arte divinatoria perché i lavori sono in corso e i numeri sono come le nuvole, vanno e vengono. E voi dovete immaginare l’effetto che fa tutto questo sotto l’ombrellone: c’è chi va a tuffarsi sperando di incontrare una sirena, chi sgrana gli occhi e fa calcoli impossibili sull’ipotetico niente appena letto, chi fa decollare la fetta d’anguria, chi azzanna il melone come fosse un Nannicini caramellato. Egli, il sottosegretario, è persona di certo preparata, ma sguarnita di minimi rudimenti sulla forza (e debolezza) della comunicazione. Se parla lui, parla il governo (e anche Renzi). E se parla, deve avere buon cibo da infornare. Cosa ha detto Tommaso? “La cifra reale arriverà a settembre”; “non capisco questo dibattito estivo”; “il quadro macro lo vedremo a settembre”; “non è un tema per l’oggi”; “non si fanno accordi a menù, non siamo al ristorante”. E la bistecca, la ciccia? Arriverà in tavola a settembre, come ha detto l’oste Nannicini. Anche noi non capiamo questo dibattito estivo. Soprattutto alla luce dei dati preoccupanti del pil italiano nel secondo trimestre. Qui sembrano più urgenti parole e fatti su produttività e fisco.

     

    Il pil se n’è andato. Tornerà? Crescita zero nel secondo trimestre. Si chiama gelata. E siamo sempre sotto la media: “Nello stesso periodo il pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6 per cento nel Regno Unito e dello 0,3 per cento negli Stati Uniti, mentre ha segnato una variazione nulla in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 2,2 per cento nel Regno Unito, dell’1,4 per cento in Francia e dell’1,2 per cento negli Stati Uniti. Nel complesso, secondo la stima diffusa il 29 luglio scorso, il pil dei paesi dell’area Euro è aumentato dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e dell’1,6 per cento nel confronto con lo stesso trimestre del 2015”. Siete ancora convinti che il tema centrale del programma di governo per l’autunno siano le pensioni? Tanti auguri.

     

    Ma la Germania… Berlino va, non corre, ma cresce ancora: più 0,4 per cento nel secondo trimestre, stime degli analisti battute.

     

     

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    Raccontare la rovina di Aleppo e Sirte. La bistecca in pagina è altra. Un reportage di Lorenzo Cremonesi da Sirte sul Corriere della Sera (“Nel bunker dell’Isis: mine, cibo e carte”) e altri due servizi sul fronte impaginati da Repubblica e firmati da Pietro Del Re e Vincenzo Nigro (“Le guerre di Aleppo e Sirte”). E’ la guerra, non un videogame. Si muore sotto le bombe. Si muore di fame e di sete. Del Re: “Piano piano verso i camion si forma una lenta processione di uomini, donne, anziani e bambini che per ore erano rimasti acquattati tra i ruderi delle case ferite, in attesa dell'arrivo degli aiuti. Ben presto attorno ai quattro veicoli si crea una folla di almeno trecento persone: sono smagrite, silenziose e sorprendentemente composte”. La guerra in Siria è un inferno, non ci sono buoni e cattivi e i cosiddetti “ribelli” che combattono contro Assad si sono macchiati di crimini grandi come quelli commessi dall’esercito del regime. Tutti sgozzano, torturano, fanno a pezzi i cadaveri. E’ questo il grande dilemma della Siria: vincerà sempre il peggiore.

     

    Amici e nemici in Libia. Sull’altro fronte, in Libia, Isis subisce la sconfitta, ma il quadro del paese è devastato, è un trionfo assoluto del tribalismo senza unità. E sul Sole 24Ore Alberto Negri si pone una giusta domanda: “Chi sono in Libia gli alleati e i nemici?”. Le proxy war, le guerre conto terzi, alla fine presentano un conto asimmetrico, soprattutto per l’Italia che si tiene lontana dal fronte. C’è la torta petrolifera da spartire, certo, ma per il nostro paese c’è un problema in più: il flusso migratorio medio-orientale e africano che ha in Libia la sua base di lancio. Scrive Negri: “Gli Stati Uniti possono essere soddisfatti di eliminare le roccaforti del Califfato e dare una spinta alla campagna della signora Clinton ma per l’Italia il problema fondamentale è stabilizzare le coste da dove affluiscono migliaia di rifugiati. La sconfitta dell’Isis può essere un inizio promettente ma non basta: oggi il 40 per cento del pil della Tripolitania è generato dal traffico di essere umani che alimenta le stesse fazioni del governo Sarraj. Aumentare l’export di oro nero e di gas è essenziale per sganciare fazioni e tribù dai proventi dei traffici clandestini. In questo l’Italia può dare una mano interessata, non meno di quella dei “pompieri incendiari” che hanno contribuito al caos del Paese”.

     

    Libia senza bandiera. Riunire la Libia sotto un’unica bandiera appare un’impresa quasi impossibile. La Cirenaica è un territorio con altre regole, altri leader, altri eserciti. Ieri il generale Haftar ha costituito un comitato di undici persone (tra loro, ci sono ex gheddafiani) che avrà il compito di trattare con le tribù dell’area del Fezzan, il vasto territorio sahariano, settecentomila chilometri quadrati di deserto confinante a Nord con la Tripolitania e a Est con la Cirenaica. Che fare? Conta di più il premier del governo provvisorio della Libia, Fayez Serraj o il generale Haftar? Vince chi ha le armi. E Haftar è stato il primo a combattere le truppe islamiste. Deporrà le armi? Il rebus libico non si risolve con una campagna di bombardamenti di un mese decisa da Washington.

     

    Le radici del caos. L’inferno medio-orientale nasce da lontano, ha una sua dinamica e logica di ferro e fuoco. Come nasce? Dove conduce? Il magazine del New York Times impagina un lungo e splendido reportage: “Fractured Lands. How Arab World Came Apart”. E’ la cronaca dei nostri anni, delle grandi speranze e dei grandi errori, delle verità e delle bugie che si sono affastellate fino a diventare un intrico di follia e dissoluzione. Diciotto mesi di lavoro giornalistico, un testo firmato da Scott Anderson che sulla carta occuperebbe lo spazio di un intero numero, foto scattate da Paolo Pellegrin dell’agenzia Magnum di una bellezza e pathos senza pari. Da leggere. E’ giornalismo.

     

    12 agosto. Prima crociata. Nel 1099 i crociati sconfiggono i saraceni nella battaglia di Ascalona. Viene fondato il Regno di Gerusalemme, guidato da Goffredo di Buglione.