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Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Da New York alla Russia passando per Berlino: il motore della politica contemporanea è la paura

Mario Sechi
Da Trump a Putin, passando per Merkel: la giornata di ieri è un impaginato di leadership globale. Ascesa, declino, vittorie, sconfitte.
    San Gennaro.

     

    Titoli. Trump corre, Putin si conferma Putin, Merkel non è più vincente. La giornata di ieri è un impaginato di leadership globale. Ascesa, declino, vittorie, sconfitte. L’attentato di New York, la tentata strage in Minnesota, le bombe in New Jersey ritrovate stanotte sui binari della ferrovia, un altro ordigno esploso sempre in New Jersey l’altro ieri, sono tasselli incandescenti di un mosaico di insicurezza che sta cambiando la corsa alla Casa Bianca: Trump ha superato la Clinton in alcuni stati-chiave (Ohio, Florida, Iowa) e il trend dei sondaggi è favorevole al candidato repubblicano; Angela Merkel ha subito una sconfitta elettorale nella città di Berlino, la Cdu ha incassato il 5 per cento di voti in meno, mentre gli ultraconservatori di Afd sono balzati al 14 per cento; le elezioni della Duma in Russia confermano la leadership di Putin. I giornali registrano i movimenti con titoli che appaiono superati dalla rapidità dei fatti, dal presente iper-accelerato: “L’ombra del terrore sul voto Usa” (Corriere della Sera); “Bomba a New York, torna la paura” (Il Messaggero); “Effetto profughi sulla Merkel: perde Berlino” (Repubblica); “La Duma resta a Putin, ma precipita l’affluenza” (La Stampa); “La Merkel perde anche Berlino. Ora la profuga è lei” (Il Giornale). Dalla lettura emerge una parola, il motore della politica contemporanea: la paura.

     

     

    America. E’ il momento di Trump. All’inizio di agosto Hillary aveva un vantaggio di otto punti su Trump. In un paio di settimane è svanito: The Donald è in corsa per la Casa Bianca. Perfino Nate Silver lo dà come “altamente competitivo”. Il tema della sicurezza è di nuovo in cima all’agenda politica: le due bombe di New York (una esplosa, l’altra no), le cinque bombe trovate sui binari della ferrovia in New Jersey (e l’esplosione di un ordigno l’altro ieri in concomitanza di una maratona), l’accoltellamento di nove persone in Minnesota. La mano che ha confezionato gli ordigni a New York e in New Jersey è la stessa? Si indaga. Nel frattempo, i democratici balbettano. Nessuna dichiarazione finora da parte del presidente Obama, il sindaco di New York Bill De Blasio, si è esercitato nell’arte del maquillage semantico parlando di “atto intenzionale” (perbacco, se una bomba esplode, qualcuno aveva l’intenzione di farlo), Hillary Clinton è apparsa subito in tv per dire “io ci sono”, ma non essendo apparsa in gran forma invece di rassicurare ha confermato i dubbi di una parte dell’elettorato (anche il suo), Trump ha fatto Trump: “Con Obama e Clinton l’America ha avuto più attacchi in casa che successi all’estero” (e tanti auguri via twitter all’Air Force). Il linguaggio è la spia delle difficoltà, del problema culturale, del politicamente corretto che distrugge il senso della realtà e produce risultati esattamente contrari alle intenzioni. Ieri l’home page del New York aveva questo titolo: “Intentional blast”, quando era chiaro anche al più sprovveduto dei lettori che quella era una bomba costruita per fare una strage. A quel titolo edulcorato si contrapponeva la prima pagina del New York Post con la parola “bomb” e sotto la testata un articolo molto dettagliato sul tutt’altro che ininfluente mail-gate della Clinton:

     

     

    Il quadro è chiaro, le difficoltà della campagna democratica sono palesi, soprattutto se si osserva questa mappa elettorale elaborata da Nate Silver:

     

     

    Gli stati rossi sono repubblicani, quelli blu democratici. Se quelli rosa diventano rossi, cioè vengono conquistati definitivamente da Trump (e occhio come sempre alla Florida e all’Ohio), Hillary perde. In questo momento, i democratici vincono negli stati della costa del Nord Ovest, in quella a Est e in alcuni stati della regione dei Grandi Laghi, ma il resto d’America è per i repubblicani. Che cosa è successo in questi mesi? Questo grafico di Real Clear Politics spiega tutto: Hillary è in caduta, Trump è in ascesa.

     

     

    E tra sette giorni ci sarà il primo duello televisivo tra i due candidati. Sarà probabilmente decisivo. Hillary è il volto dell’establishment, Trump è capace di tutto. Anche di perdere una partita che a questo punto può vincere.

     

    Germania. L’era Merkel è al tramonto? Se lo chiedono in molti e la domanda non è forzata. Il voto di Berlino è là, una sintesi molto chiara di cosa si agita nello spirito della Germania: la Cdu arretra, la Spd altrettanto, Afd rimbalza da un voto locale all’altro con doppia cifra. Gli ultraconservatori guidati da Frauke Petry non vincono ancora tutta la posta in gioco, le alleanze variabili delle coalizioni alla tedesca li tengono fuori dal governo, ma la mappa del sistema politico della Germania sta cambiando. La cancelliera in un’Europa percorsa dalla paura, dal rancore, dalla bassa crescita e dall’immigrazione, è un leader che appare al tramonto e gli avversari interni ed esterni si moltiplicano. Insegue il quarto mandato, ma le pressioni su un cambio di strategia politica sono sempre più forti. Il centro di tutto, come sempre nella storia d’Europa, è a Berlino.

     

    Putin e la Grande Russia. Il sistema di potere di Vladimir Putin non è a Mosca, ma nel permafrost del paese più grande del mondo. La Russia Unita guidata dal primo ministro Dmitry Medvedev ha vinto le elezioni. Chi altri? La stabilità del Cremlino, in un presente dominato dal sottosopra, è perfino una buona notizia. Putin lo conosciamo, nel bene e nel male, un suo successore potrebbe rivelarsi in questo momento il peggiore degli eventi possibili.

     

    Le cabine di regia di Renzi. Titolo del Corriere della Sera: “A Palazzo Chigi la gestione dei migranti”. E’ un’altra cabina di regia del governo, l’ennesima. Alcune delle competenze del Viminale, della Difesa e degli Esteri andranno di fatto a Palazzo Chigi. Non è la prima volta e l’esempio più visibile di questa tendenza all’accentramento del potere è quello del ministero dell’Economia con il sottosegretario Nannicini che “supervisiona” il lavoro del ministro Padoan. Chi parla di pensioni anticipate, di manovra, di politica economica tout court? Nannicini. I risultati non sono un fuoco d’artificio. Ma quello che conta per List è l’analisi dell’esercizio del potere da parte di Renzi che accentra sulla sua struttura, sui fidati consiglieri, tutta la macchina del governo e la gestione delle ingenti risorse destinate all’emergenza immigrazione. Quali sono i numeri? Questi, tratti dal Documento programmatico di Bilancio presentato dal ministero dell’Economia:

     

     

    Tre miliardi e trecento milioni in uno scenario costante, quasi quattro miliardi nella proiezione peggiore. Questo è il potenziale di spesa della nuova cabina di regia di Palazzo Chigi.

     

    Achtung, Renzi (e Draghi). Intervista del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, su La Stampa: “L'Italia ha già usato e abusato della flessibilità del patto di stabilità: quello di cui c'è bisogno è che il Governo italiano applichi e porti avanti le riforme strutturali che ha già iniziato. Il patto di stabilità e crescita non è affatto rigido. Contiene numerose eccezioni, non solo in caso di oneri imprevisti. Tale flessibilità è stata già stravolta e abusata, la funzione disciplinante del patto ne ha risentito notevolmente". Avviso ai naviganti, la Buba alzerà un muro: “Una politica di austerity ambiziosa c’è stata soltanto in pochissimi Paesi. La Francia e la Spagna oltrepassano già da anni, con la loro politica di bilancio, i requisiti del patto di stabilità. In Italia il deficit è sceso negli ultimi tempi solo perché il Paese ha dovuto pagare meno interessi sul debito pubblico”.

     

    Promemoria: debito pubblico. Paghiamo meno interessi, vero, ma il debito pubblico italiano continua a crescere senza controllo: nei primi sette mesi dell’anno è aumentato di 80 miliardi.

     

     

    19 settembre. Nikita Krusciov in visita negli Stati Uniti non può visitare Disneyland per motivi di sicurezza: troppa gente mascherata.