Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
Tutto quello che c'è da sapere sul dibattito Clinton-Trump
Santi Cosma e Damiano.
Titoli. Siamo alla vigilia del dibattito televisivo più importante della storia d’America. Ore tre del mattino in Italia, Clinton e Trump si sfideranno in un duello che potrebbe cambiare la corsa alla Casa Bianca. I due candidati si sono preparati così: Hillary molto, Trump poco. La candidata dei democratici è esperta e preparata, quello dei repubblicani è all’esordio in un duello presidenziale, è un animale televisivo (“you are fired!”, The Apprentice), è capace di tutto (anche di perdere). Come stanno le cose a poche ore dall’appuntamento? Per i democratici non vanno benissimo. Nate Silver riassume tutto in dieci domande e dieci risposte. Chi è davanti nei sondaggi? La Clinton, ma di pochissimo e in maniera sempre più flebile. Qual è il grado di incertezza? Molto alto e con ampi margini d’errore. Come sono i sondaggi nel breve periodo? Non chiari, un lieve recupero della Clinton, ma contraddetto da altri. Cosa dicono i sondaggi nel medio periodo? Sono favorevoli a Trump. Qual è lo Stato più importante nell’elezione? Nessuno in particolare, tutti in generale, per questo l’elezione rimane incerta. Come sono le relazioni tra voto popolare e collegio elettorale? Non chiare, Clinton potrebbe guadagnare i 270 voti necessari per assicurarsi la Casa Bianca e perdere nel cosiddetto national popular vote. Chi è favorito dai fondamentali, dal contesto socio-economico? Trump. Come sono le stime degli allibratori? Allineate a quelli di Nate Silver, Betfair dà il 62 per cento di possibilità di vittoria alla Clinton. Cosa non dovrebbe far dormire la Clinton? Essere nel cestino di due scelte ritenute pessime dagli americani. Cosa non dovrebbe tenere sveglio la notte Trump? Il fatto che nella corsa non è mai stato davvero davanti alla Clinton. Per ora. Stanotte vedremo se arriverà una svolta. Buona visione.
Il Nord degli altri è il tuo Sud. Pietro Nenni disse che “a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura”. Vero. Se sposate questa frase con la geografia e il fatto incontestabile che “c’è sempre qualcuno più a Nord di te”, otterrete il seguente risultato: il Canton Ticino chiude la frontiera agli immigrati e alla parola “straniero” coincide la nazionalità italiana, o quel che ne resta. Dunque sulla mappa possiamo ammirare il seguente risiko alle frontiere: l’Italia e la Grecia salvano i migranti in mare, la Turchia (in base all’accordo fatto con la Ue) si prende quelli che vengono dalla Siria e li rispedisce sotto le bombe, i migranti del Nord Africa restano in Italia o puntano alla clandestinità in altri paesi europei, ma passare è un’impresa, la Germania dopo aver accolto un milione di rifugiati siriani nel 2015 non ne accoglierà più come in passato (Merkel dixit) e ora quelli che è sempre colpa di Berlino (Italia compresa) avranno di fronte la realtà. Quale? L’Ungheria il prossimo 2 ottobre metterà nero su bianco in un referendum il No alle politiche Ue sui rifugiati e più filo spinato per tutti con deportazioni (questo è il piano del premier Viktor Orban) in un’isola del Nord Africa, l’Italiano medio, disinformato, smarrito e in stato confusionale invece di chiedere l’apertura dei confini a Nord – quelli che si stanno chiudendo – ha un’idea geniale: chiudere a sua volta le frontiere (“Paura degli immigrati, italiani favorevoli a chiudere le frontiere”, Repubblica), ma la cosa è già stata pensata dalla Svizzera (“Prima gli svizzeri? Il 58% vota «sì». Il Canton Ticino vuole meno italiani”, Corriere della Sera) e la cosa dovrebbe indurre gli abitanti dello Stivale a qualche acuta riflessione. E’ già successo di tutto, ma tutto svanisce nella memoria degli italiani: in Austria (cari, avete già dimenticato la disputa del Brennero?) e in Francia (lo sapete che a Ventimiglia non si passa?), nella rotta balcanica che è out, nella Slovenia che ha avvisato, niente muri ma anche niente immigrati, e così pure in Albania, paese che gli italiani immaginano ancora come quello dal quale il 7 marzo del 1991 sbarcarono in Puglia ventisettemila uomini e donne in fuga dalla crisi economica e dalla dittatura comunista. Era un’altra storia, quella del mercantile Viora, salpato dal porto di Durazzo, arrivò al porto di Bari con a bordo ventimila albanesi. Sono trascorsi venticinque anni, il mondo è cambiato, il Canton Ticino ha deciso: #primaInostri. Nelle foto dei festeggiamenti per la grande vittoria della Svizzera al confine con l’Italia, c’è una sagoma che indossa la felpa, “Ticino”, dettaglio stilistico che ricorda un tale, Salvini. Felpa ticinese sbatte fuori felpa milanese. Fa sorridere sentire la vibrante protesta dei leghisti: “Difenderemo i concittadini!”. Pensa un po’ che contrappasso, scoprire che il nord non finisce a Pontida. Buona giornata.
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Samantha Power e le bombe russe. Samantha Power è ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, è una donna tosta e ha scoperto che le bombe fanno morti e feriti. Così, per dare un senso a questa rivelazione, ha lanciato la sua accusa contro Vladimir Putin: “L’azione della Russia in Siria è barbarie, non anti-terrorismo. Invece di perseguire la pace in Siria, Mosca e Assad fanno la guerra”. Aleppo è l’epicentro di questa crisi. I giornali scrivono, riprendono, registrano, servirebbe anche un commento non allineato ma non è aria: “Accuse a Putin: barbarie in Siria” (Corriere della Sera), “All’Onu lite sui raid russi in Siria” (Repubblica); “Onu, processo a Putin: Russia colpevole di crimini di guerra” (La Stampa). Questo è lo scenario. E sì, è confermato, i russi fanno la guerra. Come gli Stati Uniti quando hanno bombardato una postazione dell’esercito siriano qualche giorno fa. Come i 116 civili uccisi dai droni americani durante l’amministrazione Obama. Come il bombardamento dell’ospedale di Kunduz, in Afghanistan. Ah, certo, le bombe americane colpiscono per caso, quelle russe no. Con quel nome, Power, dovrebbe sapere che la guerra, brutta, sporca e cattiva. E alla fine non risparmia nessuno, neanche gli ipocriti. Per finire la guerra, devi fare la guerra.
Difesa europea? Forse. Riunione dei ministri della Difesa d’Europa a Bratislava. Visto il disimpegno americano, si ragiona su un primo passo per costituire un esercito comune. E’ un miraggio? Può darsi, ma la realtà esiste, il Mediterraneo è in fiamme e il Medio Oriente catapulta problemi (immigrazione e terrorismo) sull’Europa.
Occhio al petrolio. Domani a Algeri si incontrano i paesi produttori dell’Opec. Il prezzo del petrolio continua ad essere molto basso (siamo a quota 45 dollari) il tema rimane sempre quello del congelamento della produzione, tutti puntano a un aggiustamento del rapporto tra estrazione e prezzo. Il segretario generale dell’Opec ha espresso fiducia, i mercati seguono, i contendenti sono sempre quelli: Arabia Saudita e Iran. I primi sono oggi un po’ più aperti a rallentare la produzione, ma l’Iran che è appena rientrato nel mercato dopo la fine delle sanzioni non lo è. Chi farà da mediatore? Non gli Stati Uniti, pieni di riserve di petrolio (grazie anche allo shale gas), ma la Russia. C’è sempre Mosca di mezzo.
26 settembre. E’ un giorno fortunato per la musica. Nel 1957 debutta a Broadway West Side Story di Leonard Bernstein. E nel 1969 viene pubblicato in Inghilterra l'album dei Beatles, Abbey Road.
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