Il confronto televisivo tra Trump e Clinton (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

L'occasione persa da Trump e il successo fragile di Clinton

Mario Sechi
La sintesi dei caratteri sul palcoscenico del confronto televisivo è questa: Clinton ha fatto Clinton, Trump non ha fatto Trump. O forse è stato fin troppo Trump e proprio per questo ha perso ai punti un dibattito che aveva in tasca. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi.
    San Vincenzo de' Paoli.

     

    Titoli. Non c’è stato il colpo del ko. I due candidati si sono battuti duramente, ma sono rimasti in piedi sul ring e dovranno incontrarsi ancora due volte per conquistare il titolo dei pesi massimi. Il primo dibattito presidenziale è andato così: Trump ha fatto il bulldozer ma meno del previsto e dopo mezz’ora ha vagabondato nelle domande e risposte, Clinton è stata fredda e non era previsto; The Donald ha giostrato bene nei primi trenta minuti, Hillary ha fatto la padrona per i successivi 60 minuti; Trump ha avuto un valido spunto nel criticare l’avversario sul commercio, il lavoro, il business e l’establishment, Clinton ha mostrato più fatti verificabili in tutto il dibattito; The Donald ha perso l’occasione di lasciare il segno sullo scandalo delle mail della candidata democratica, la Clinton ha memorizzato ogni ombra e misfatto del suo strano avversario; Trump per sei volte ha dovuto subire obiezioni e puntualizzazioni sollevate dal moderatore Lester Holt, la Clinton mai (e però ci sarebbe stato da eccepire anche su di lei); The Donald non si è preparato (e si è visto), Hillary ha studiato parecchio (e si è visto); Trump ha avuto una notte difficile (e si è capito dalla sua faccia), Clinton ha schivato un colpo mortale (e si è capito dalla sua faccia), The Donald nonostante tutto (forse) salirà ancora nei sondaggi, la campagna della Clinton (senza forse) riparte da questa notte.

     

    Il sondaggio post-dibattito della Cnn dice che ha vinto Clinton, largamente:

     

     

    I numeri del momento raccontano una cosa molto semplice: Clinton ha superato le aspettative, Trump le ha tradite. Il candidato repubblicano ha perso l’occasione per chiudere la partita con l’avversario democratico, Clinton l’ha colta per rilanciare una campagna in declino. Era una facile preda, Hillary, ma a The Donald è mancato il guizzo da rapace, non ha studiato bene i punti deboli della Clinton: il mail-gate, l’attacco all’ambasciata americana a Bengasi, la disastrosa guerra in Libia, il fallimento della campagna con i ribelli riforniti di armi in Siria, i rapporti politicamente sensibili della Fondazione Clinton. I conservatori della National Review commentano: “Se questa notte non salva la campagna di Hillary, allora niente la salverà”. Mentre il New York Times fa una lettura scontata della performance di Trump, è nel campo dei media repubblicani che si leggono le cose più dure. Frank Barnes sul Weekly Standard mette The Donald sul barbecue in un articolo dal titolo feroce, Trump il perdente: “Se avesse visto il video del dibattito tra Reagan e Carter nel 1980 ne avrebbe tratto grande vantaggio (…) aveva l’opportunità di apparire presidenziale e ha fallito” (…) “la sua mancanza di preparazione mi ricorda Jack Camp, vicepresidente nel ticket con Bob Dole che perse con Al Gore, una delle poche volte nella sua carriera” (…) “Clinton ha studiato”. L’improvvisazione è nemica della perfezione.

     

    La sintesi dei caratteri sul palcoscenico è questa: Clinton ha fatto Clinton, Trump non ha fatto Trump. O forse è stato fin troppo Trump e proprio per questo ha perso ai punti un dibattito che aveva in tasca.

     

    Fin qui, abbiamo dato una lettura classica del dibattito e certamente è quella prevalente, ma se “spacchettiamo” il duello le cose assumono una luce meno netta. Se Trump ha vinto i primi 25 minuti del confronto, mettendo a segno un paio di colpi su commercio, economia e opposizione all’establishment, quale sarà l’effetto sui suoi sostenitori in cerca di identità? I deplorables di Trump non sono un corpo elettorale omogeneo ma marciano dritti alla meta: mettere fuori strada la Clinton. Li motiverà ancora di più al voto (e questa campagna è tutta sulla motivazione). E se Clinton ha ben gestito un’ora e fischia di dibattito con un erratico Trump, cosa succederà tra i democratici riluttanti (leggere alla voce: fan di Bernie Sanders e non solo) che non sono ancora convinti di votarla? Quello che conta è l’impatto del dibattito sul corpo elettorale, la persistenza (o meno) dell’effetto della notte da cento milioni di telespettatori, l’influenza sulla scelta finale di novembre. Quanto resterà sulla pista della corsa alla Casa Bianca di questo dibattito? Ci sono dettagli che sfuggono a una prima visione, ma poi contano. Per esempio, quante volte sono stati nominati gli stati chiave dai due candidati? Qui il conteggio di Fivethirtyeight:

     

     

    Trump ha citato di più i battleground states in un contesto dove l’attenzione per i collegi elettorali è stata scarsa. Conterà qualcosa? Forse niente, ma è un elemento da considerare per i prossimi due dibattiti. Altro? Lo scenario, perdinci. Ecco quello elaborato da Nate Silver nove ore fa, alla vigilia del duello televisivo: Clinton è largamente al di sotto del 60 per cento di possibilità di vittoria, una percentuale che rende la sua campagna ancora fragile.

     

     

    Gli allibratori stanno aggiornando le percentuali in favore della Clinton. Cosa succederà nei sondaggi? Le serie storiche dicono che spesso l’effetto dibattito aggiunge 3-4 punti al candidato vincente, ma poi il vantaggio si attenua. Durerà? E siamo sicuri che Trump calerà nei sondaggi? Un dato dovrebbe preoccupare The Donald: non è mai stato in testa durante la corsa. E il tempo sulla clessidra sta scorrendo velocemente. Trump ha altre due occasioni per raddrizzare la rotta, ma deve studiare. L’esperienza della Clinton (e del suo staff) ha contato, The Donald ha perso non la corsa alla Casa Bianca (non ancora) ma una grande opportunità.

     

    La povertà, l’America e l’èra della bugia. Tre milioni e mezzo di americani sono usciti l’anno scorso dalla linea della povertà. L’economia americana si è ripresa. Tutto questo però fa a pugni con il clima del dibattito presidenziale: siamo in un’epoca in cui i fatti, i dati, non contano niente, l’epoca delle bugie, come titolava una copertina dell’Economist qualche giorno fa. E’ un fenomeno che riguarda non solo l’America, ma tutto il mondo. Italia compresa, dove la cultura dei fatti, dei dati, il realismo non sono mai esistiti.

     

    Petrolio, il vertice di Algeri e l’arbitro di Mosca. L’agenzia Ria Novosti rilancia queste parole del ministro dell'Energia russo, Aleksandr Novak: “La Russia non ha ancora deciso se partecipare all'incontro informale dell'Opec, dipenderà se verranno raggiunti accordi nell'incontro dei paesi membri dell'organizzazione". Produzione e prezzo del barile non hanno ancora trovato un livellamento soddisfacente. La partita tra Arabia Saudita e Iran continua e l’arbitro – la Russia – è molto prudente. Non è un buon segno.

     

    Il G7 dell’economia del 2017 sarà a Bari. Lo ha annunciato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan su Twitter: “Dopo Sendai 2016, nel 2017 il #G7 Finanze si terrà a #Bari. Un'opportunita' unica per discutere di #crescita #occupazione #diseguaglianza".

     

    Google compie 18 anni. Era il 27 settembre 1998: comincia l’era del search box.

     

    Messi e i 40 anni di Totti. Il pupone cresce, la Roma no. Tra gli auguri per i 40 anni di Francesco Totti, quelli di Lionel Messi: “Ciao Francesco, prima di augurarti di trascorrere una bella giornata e un felice compleanno, voglio dirti che ti ho sempre ammirato e che la mia ammirazione è cresciuta ancor di più il giorno in cui ti ho conosciuto. Ti auguro il meglio e spero di vederti giocare ancora per un paio di anni. Un grande abbraccio".