Il segretario della Cisl, Annamaria Furlan (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Il partito delle pensioni e gli schiacciasassi che se ne infischiano del futuro

Mario Sechi
Continua a prevalere la grande coalizione del vado in pensione e non faccio l’impresa. E poi il surreale "che barba, che noia" di Renzi per spiegare agli italiani i rapporti tra Ue e Italia. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

    San Venceslao.

     

    Titoli. Le elezioni americane vengono considerate “lontane” (in realtà sono quanto di più vicino alla politica e al futuro dell’Italia) dunque l’apertura dei giornali è dedicata a temi domestici dai quali emerge inesorabilmente il nostro gioco al buio o quasi. Prendete il Def, quel documento che deve tracciare lo scenario della nostra economia, dice quello che si sapeva: il prodotto interno lordo rallenta, la crescita del 2017 è fissata all’uno per cento (e si fa professione di ottimismo), il deficit sale (più 2,4 per cento), c’è una partita aperta con Bruxelles su uno spazio di flessibilità di bilancio (per migranti e terremoto, lotteria da circa sei miliardi da trattare con i paesi del Nord Europa), il debito pubblico (record storico a quota oltre 2.252 miliardi) forse l’anno prossimo comincerà calare, ma questo era già stato detto in altre occasioni. Si capisce anche che la manovra non ha carburante sufficiente per andare lontano, ci sono sì e no 5 miliardi da mettere sul piatto e poi il resto se ne va in interventi già ampiamente programmati. Ecco perché è stato surreale assistere al dibattito sotto l’ombrellone sulla pensione anticipata, e non si capisce il motivo per cui il presidente del Consiglio debba commentare il confronto tra la politica di bilancio italiana e l’Europa con un “che noia, che barba, che noia”. Merkel e Schauble la pensano così e tutto questo forse sarà pop, ma poi bisogna spiegare agli italiani che restano sono sotto la pressa fiscale, che l’Irpef non calerà, che il debito pubblico nei primi sette mesi dell’anno è schizzato di altri 80 miliardi, che la produzione nell’ultimo trimestre è zero, che gli ordinativi dell’industria sono crollati (meno 10,8 per cento a luglio), che siamo inesorabilmente attaccati alla Jeep di Marchionne. La leadership si esprime in queste forme, per carità, ma ottimismo e razionalità si accompagnano alla conoscenza dei fatti, dei numeri, alla loro proiezione in un futuro non troppo lontano che si accompagni a misure coraggiose che non siano legate alla continua ricerca del consenso. Forse di questi tempi è chiedere troppo e, visto cosa si agita negli altri partiti, possiamo anche dire che questo passa il convento, ma c’è una cifra istituzionale da fiera dell’Est che forse sarebbe il caso di abbandonare. I quotidiani titolano su questo, con l’aggiunta della riapparizione del Ponte di Messina, un sempre verde di Palazzo Chigi: “I paletti dell’Europa sui conti” (Corriere della Sera); “Crescita lenta, spinta del governo” (Il Messaggero); “Pensioni, mancano i soldi” (Carlino-Nazione-Giorno); “Def, l’Italia alza il deficit al 2,4% braccio di ferro con Bruxelles” (Repubblica); “Ponte sullo Stretto, sfida Renzi-Grillo” (La Stampa). La lettura dei titoli dice tutto e il contrario di tutto, la sensazione è quella giusta: siamo prossimi a un punto di rottura, quello del referendum. E questo ci sarà sia in caso di vittoria del Sì, sia in caso di affermazione del No. Nel primo, avremo Renzi in sella per lungo tempo; nel secondo, avremo il premier disarcionato e vai con la rumba di un altro governo di transizione. Lo scenario è stato saggiamente dipinto da Carlo De Benedetti in un’intervista sul Corriere della Sera: “Se vincesse il no, Renzi dovrebbe dimettersi il giorno dopo. Anche se non credo che lascerà la politica. E per fortuna, perché ha dimostrato di avere energia e qualità (…) Berlusconi aspetta col cappello in mano. Comunque finisca il referendum, ci guadagna: anche se vince il sì Renzi avrà bisogno di lui. La scelta di Parisi si spiega così. Insieme, Renzi e Parisi si accorderanno, ridimensionando la sinistra e restituendo Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza. Di sicuro per combattere i populismi appare inevitabile che al partito di Renzi si sommino una parte dei voti e dell'apparato del centrodestra”. Non sarà mai una Grosse Koalition – i tedeschi fanno queste cose con metodo e non con improvvisazione – ma il percorso appare quello. In un Parlamento con tre forze che sono una debolezza, la logica politica dice che due fanno un patto e la terza resta fuori. Non resta che attendere la sera del 4 dicembre, il giorno del referendum, e vedere lo spoglio dei voti. Sì o No, tutto cambierà. Buona giornata.

     

                                                                                        ***

     

    Il partito delle pensioni (anticipate e non). L’altra sensazione ormai solidificata è che ci sia un esercito che lavora sul passato, uno schiacciasassi che se ne infischia del futuro e brama la pensione con l’accantonamento sine die del problema della disoccupazione giovanile (e non), il gong della depressione industriale. Queste le dichiarazioni del segretario della Cisl, Annamaria Furlan, sul finanziamento del piano sulle pensioni anticipate, stamattina: “Noi abbiamo sempre riflettuto su una media di 2 miliardi l'anno per tre anni. Mi aspetto coerenza”. E’ il partito dei pensionati e della spesa pubblica, è la grande coalizione del vado in pensione e non faccio l’impresa. Associate tutto questo alla retorica luddista e al mito del reddito minimo garantito e tirate le somme.

     

     

    Le Poste tedesche conquistano il Regno Unito. Nel frattempo, l’espansione della Germania nel mondo continua. Dopo il take-over di Bayer su Monsanto, che farà nascere il primo gruppo mondiale nel settore della chimica applicata all’agricoltura, Deutsche Poste lancia la sua offerta per acquistare UK Mail, un’azienda di spedizioni che nacque nel 1971 come un servizio taxi e divenne poi un corriere espresso. L’acquisto vale 242 milioni di sterline. Il futuro si costruisce con l’espansione economica, la conquista di spazi, l’ampliamento dell’influenza di un paese attraverso la ramificazione globale della sua business community.

     

    America. Hillary ha vinto il dibattito, ma ora che succede? Nate Silver vede un aumento nei sondaggi per la candidata democratica, ma bisogna vedere cosa resterà alla fine del ciclo di dibattiti. Il prossimo duello televisivo sarà a Saint Louis il 9 ottobre, l’effetto del primo si vedrà tra un paio di giorni. E poi resta la domanda: i sondaggi fotografano davvero cosa si agita nello spirito americano contemporaneo? Siamo di fronte a uno scenario elettorale inedito, con un candidato, Trump, mai visto prima nella storia americana. E’ una corsa di cavalli, gli allibratori dicono Clinton, ma The Donald è uno strano animale politico, ha incassato le critiche più dure proprio dall’ambiente repubblicano, ma è proprio dal Weekly Standard che poi arriva un altro punto di vista da tenere ben presente nei prossimi giorni: ha dominato i primi 25 minuti del dibattito e al suo elettorato questo interessa più della seconda parte in cui ha vagabondato tra domande e risposte senza apparire sicuro di sé. La mappa dei collegi elettorali è chiara, i democratici sono forti nell'East Coast e nella West Coast, ma al centro si allarga una grande macchia rossa, quella di Trump, e una serie di battleground states in bilico.

     

     

     

    La corsa alla Casa Bianca dipende dalla volontà e rappresentazione dei sostenitori dei candidati e in questo – almeno finora – Trump è apparso più forte. Hillary è sempre favorita dai sondaggi forse lo sarà ancora di più, ma la storia fa risuonare nelle praterie del cuore dell’America il nome di The Donald. Non c’è mai stata un’elezione presidenziale così incerta e di difficile lettura.

     

    28 settembre. Nel 1958 la Francia ratifica una nuova Costituzione, nasce la Quinta Repubblica.