Theresa May e Angela Merkel (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Il confronto tra Regno Unito e Germania e il "nuovo ordine mondiale"

Mario Sechi
E' entrato in crisi l’ordine che dalla pace di Westfalia in poi aveva messo nero su bianco una serie di princìpi ed edificato dei forum di cooperazione internazionale per mantenere la pace e l’ordine mondiale. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

    San Bruno.

     

    Titoli. C’è una guerra in corso in Europa e a condurla sono due donne: Theresa May e Angela Merkel. La signora di Downing Street ieri ha parlato alla conferenza del partito conservatore mettendo in pista un programma e un processo.
     

    Il programma è quello di procedere con la cosiddetta “hard Brexit”, ma in realtà con il paracadute aperto, veloce nelle parole ma lenta nei fatti, giusto il tempo di chiudere accordi bilaterali e un altro paio di furbate commerciali per aggirare lo scoglio dell’Unione europea; il processo invece è quello della propaganda pop-rock dove sul banco degli imputati finiscono le “élite economiche” contro le quali si sono esercitati i brexiters e i lavoratori stranieri da schedare per procedere poi a un fantomatico piano di espulsione dal mondo del lavoro britannico. Il primo ha fondamento, il secondo fa parte della narrativa per il popolo.

     

    Il centro di tutto è a Berlino. La cancelliera Merkel ha capito da tempo quali sono le reali intenzioni degli inglesi e ieri, parlando agli industriali tedeschi, ha dato subito un’idea di quella che sarà la posizione della Germania nei confronti del Regno Unito: l’accesso al mercato unico è condizionato alla libertà di movimento di uomini, merci, capitali. Merkel ha richiamato la comunità degli imprenditori a fare fronte unito, un chiaro passaggio sulle divisioni che potrebbero favorire Londra nella sua operazione di spezzettamento del quadro di relazioni diplomatico-commerciali.

     

    A May e Merkel si è aggiunta ieri una terza donna, Ursula von der Leyen, il ministro della Difesa della Germania che in un’intervista al Financial Times ha ammonito gli inglesi: “Il Regno Unito non interferisca nei progetti di Difesa europea, vogliamo costruire un solido pilastro nella Nato”. Dalla birra ai cannoni con i tedeschi è sempre questione di un lampo, un blitzkrieg diplomatico.

     

    Si capisce che in realtà non siamo di fronte alla Brexit, ma a un riassetto complessivo di quell’ordine che dalla pace di Westfalia in poi aveva messo nero su bianco una serie di princìpi ed edificato dei forum di cooperazione internazionale per mantenere la pace e l’ordine mondiale. Quel sistema è in crisi e per ora non è stato sostituito da un nuovo format. Ai lettori di List che desiderano approfondire questo tema del riassetto mondiale, il titolare consiglia la lettura di World Order di Henry Kissinger.

     

    Lo sfoglio dei giornali sui lavori in corso nel sistema delle relazioni internazionali offre solo un pezzo della storia, la cronaca, ma senza lo scenario complessivo. Il Corriere della Sera dedica il titolo principale proprio al discorso della May: “Cambierò la Gran Bretagna”; La Stampa ha una foto a centro pagina in un box con molti altri argomenti: “Londra sfida. “Schedare i lavoratori stranieri”; Il Messaggero fa la stessa scelta: “Schedate gli stranieri”; Repubblica fa uno strillo in prima: “La svolta inglese contro l’Europa: liste per gli stranieri che lavorano da noi”; L’Unità la pensa così: “Londra a picco, via gli stranieri” (segnaliamo sommessamente al giornale guidato in tandem che la crisi economica da Brexit per ora non c’è e la quotazione della sterlina è una storia che si è tradotta in un rally di Borsa per l’azionario); Avvenire fa un titolo di taglio: “Londra: prima gli inglesi. Restrizioni agli stranieri”.

     

    Nessuna traccia del confronto a distanza con la Germania. Quello che ha detto la Merkel non è passato sui monitor dei desk dei giornali.

     

    La Germania va. Non come un razzo, ma l’economia tedesca continua a dare segni di vitalità rispetto alle altre economie d’Europa: gli ordini all'industria sono saliti dell'1 per cento mensile ad agosto, risultato superiore alle stime fatte dagli analisti che prevedevano un più 0,4 per cento, contro il più 0,3 per cento di luglio.

     

    Il trader perfetto: Jamie Dimon. L’uomo nero dell’ultimo giallo all’italiana, il capo di JP Morgan, la banca americana che si è impegnata nel piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, è un trader perfetto di se stesso:

     

     

    In febbraio ha acquistato 500 mila azioni di JP Morgan al prezzo di 26,6 milioni di dollari, oggi valgono 33,85 milioni, con un guadagno netto di 7,25 milioni. Se applica questa abilità sul Monte, forse a Siena c’è speranza. Sempre che le polemiche non facciano naufragare anche questo piano e si vada dritti verso la nazionalizzazione della banca.

     

    Banche e referendum. Nelle cronache di questi giorni si fa riferimento a un report di JP Morgan del 2013 come modello per la riforma istituzionale del paese. La banca che detta le regole del gioco. In realtà fin dallo scoppio della crisi finanziaria del 2008, gli uffici studi delle banche globali non si sono esercitati sul tema con varietà di soluzioni. Negli anni della speculazione sui titoli di stato si davano consigli e valutazioni sulla gestione del debito sovrano, poi sull’efficacia del governo tecnico e il percorso dopo la tempesta dello spread e oggi sul referendum e gli scenari che potrebbe originare, soprattutto in caso di vittoria del No e dimissioni del governo Renzi. Il gioco del follow the money è è perfetto per le tesi cospiratorie. Il dibattito italiano è avvelenato dalla battaglia referendaria.

     

    Petrolio, vertice Opec con la Russia. Arabia Saudita, Algeria, Gabon, Qatar ed Emirati arabi uniti, si incontreranno con la Russia a Istanbul la settimana prossima per discutere, in un vertice informale, l'implementazione dell'accordo raggiunto ad Algeri. Il taglio della produzione dovrebbe escludere l’Iran, appena rientrato nel mercato del barile dopo la fine delle sanzioni.

     

    6 ottobre. Nel 1973 scoppia la guerra del Kippur. Qui un report della Federal Reserve sullo shock della crisi petrolifera innescato dal conflitto.